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Ritratto di
Mastinaro: Mario Querci
a cura di Virgilio Dal Buono
Non me ne vogliano i napoletani se, per ospitalità, per primo parliamo di un intruso.
Probabilmente è proprio così che Mario Querci doveva essere visto quando, a partire dai primi anni ’50, bazzicava nelle campagne vesuviane in cerca di una fattrice, di un ispirazione, di un supporto. Che ci faceva un toscano di Prato, laggiù? Cari amici, la risposta è sempre la solita: mastinite acuta causata da un contagio avvenuto in tempi di guerra. Mastinite inarrestabile che lo ha condotto con l’affisso “di Ponzano”, a creare oltre 50 Campioni in quasi 50 anni di allevamento, prima che il destino lo accompagnasse in cielo ad incontrare i suoi Fiamma, Sahib, Argo e le altre centinaia di mastini che ha fatto nascere e visto andarsene. Mastinaro e mito, per meriti acquisiti.
Quello che segue è il resoconto di una chiaccherata-intervista con Marcello Querci, figlio di Mario e oggi, purtroppo, solo quadro d’azienda invece che allevatore. Certo l’eredità effettivamente sarebbe stata pesante…
La passione di una vita.
Un vecchio slogan recitava: “per conquistare il futuro, prima bisogna sognarlo!”.
Così fu per Mario Querci che, fin da bambino attratto dai piccoli animali domestici ed in particolare dai cani, incontrò casualmente due volte il mastino (che ancora non si chiamava napoletano) e ne rimase folgorato, per sempre. La prima volta fu a Prato negli anni ’20 e la seconda a Maddaloni nel ’44: da li a pochi anni la passione scaturita da quelle visioni si sarebbe concretizzata e non si sarebbe fermata che quarantacinque anni dopo, e non per sua volontà.
Quando Mario comincia, siamo proprio agli albori della razza appena riconosciuta.
Siamo tra gli anni ’50 e ‘60. Mentre nel napoletano, nei primi anni dopo il riconoscimento ufficiale, acquistano una prima notorietà pittoreschi allevatori per anni frequentati solo da informatissimi appassionati locali, Querci è, insieme a Scanziani e pochissimi altri, uno dei primissimi ad intraprendere, già coi suoi primi soggetti recuperati a Napoli e da Scanziani stesso - con una perseveranza e una attenzione che avrebbe sempre mantenuto - il percorso delle esposizioni. Possiamo dire che, all’epoca, se con Scanziani la razza diventa riconosciuta, è con Querci che comincia ad essere regolarmente esposta e diffusa anche fuori dal napoletano.
E’ lui il pioniere dell’allevamento sportivo del nostro, il primo vero “professionista del ring”, non tanto interessato alle funzioni utilitaristiche e pratiche del cane quanto invece esclusivamente concentrato sulle caratteristiche estetiche e funzionali che lo potevano rendere apprezzato e vincente sul ring. (ndr: alcuni critici puristi diranno “l’inizio della fine” del mastino rustico, nascosto e verace, ma questa è la storia della razza).
Nella vicenda di Mario Querci e del “Canile di Ponzano” (come all’epoca si chiamava il suo allevamento) non c’è niente di stravolgente, di eclatante. Querci, come gran parte dei pratesi dell’epoca, aveva un’attività di tessitore terzista nel settore tessile e, anche se il lavoro non mancava, non aveva certo capitali da investire. All’epoca c’era soltanto il minimo indispensabile al mantenimento dei vari soggetti ed alla partecipazione alle più importanti esposizioni; i cani convivevano con tutta la famiglia Querci nel pochissimo spazio aperto che avevano a casa oppure ospitati in improvvisati recinti presso alcuni contadini della zona e spesso il primo rumore in vita che sentivano i cuccioli era il movimento dei telai per filare i tessuti. Del resto questo era il “modello napoletano”, che Mario aveva mutuato ed importato dalla Campania: saper fare di necessità virtù. Ecco, forse, il principale segreto di Mario Querci: saper ottimizzare le poche risorse disponibili come la semplice vicinanza territoriale con altri appassionati, utilizzando la loro disponibilità a supportare il progetto-Ponzano. Ospitando soggetti che non trovavano posto da Mario, crescendo per suo conto una o più cucciolate e creando così un vero e proprio “clan” fatto di tante persone che diventavano allo stesso tempo appassionati, amici, clienti e colleghi. Nei momenti d’oro di Ponzano (anni ‘70-‘80) si contavano decine di appassionati, veri e propri “apostoli” di Mario Querci, qualcuno con uno o più soggetti da lui affidati personalmente, altri più semplicemente supporters pronti a dare una mano in qualche altra forma, secondo necessità.
Il marchio “Ponzano” poteva così crescere e svilupparsi come nessun altro all’epoca.
La scuola Toscana
Parlare di una Scuola Toscana forse è un po’ ardito. Certo, negli anni si è andata formando una corrente di pensiero (se così possiamo dire) intorno al tipo di mastino prodotto dall’Allevamento di Ponzano. E forse, ancora di più, a un certo modo di intendere e di vivere la passione per il cane: l’aspetto sportivo, il partecipare alle mostre per accumulare titoli su titoli (ndr: al termine della carriera sono oltre 50). Non è difficile credere che la fissazione del tipo “Ponzano”, ovverossia un mastino più elegante, con una testa magari meno voluminosa ma più cesellata da rughe, più proporzionato ed armonioso, sostanzialmente corretto negli appiombi e nel movimento, nascesse anche dalla considerazione che certi aspetti eccessivamente rustici e veraci che ancora si ritrovavano nei soggetti recuperati nel territorio napoletano, non sarebbero stati apprezzati in un ring. Era come se fosse consapevole di dove fosse la vera tipicità, l’essenza della razza (e infatti ne attinse a più riprese in costanti escursioni interessate nel napoletano), ma nello stesso tempo comprendesse che, per il ring, sarebbero stati altri i sentieri da percorrere, altre le selezioni da effettuare, altri i particolari estetici da curare e da fissare. E, in effetti, all’epoca Ponzano fu sicuramente uno dei pochissimi allevamenti nei quali si potesse riconoscere un’indubbia omogeneità di tipo in quasi tutto lo stock d’allevamento, al punto di poter affermare a prima vista “quello è un Ponzano”. Se in un giudizio individuale ci poteva essere competizione con qualche soggetto campano di qualità , magari meno “preparato” per il ring ma indubbiamente apprezzabile e forse anche superiore per tipicità e volumi, nelle coppie e nei gruppi Querci risultava praticamente imbattibile per la omogeneità dei tratti, per il sempre curatissimo e complementare dimorfismo tra femmina e maschio, per la capacità di condurre e presentare i soggetti al giudice, tra l’altro spesso all’epoca ancora poco preparati alla razza e quindi in soggezione davanti al “mostro sacro” Mario Querci.
Tutto contribuiva a rendere Mario quasi inarrivabile, sul ring, mentre “fuori” dal ring, nell’ambiente mastinaro napoletano, non si alimentava ancora un universale apprezzamento e, forse anche per invidia, si criticava pure apertamente personaggio e cani…
Come detto, oltre all’indubbio valore cinotecnico, fu importantissima la comunità che, non casualmente, venne a crearsi intorno a “Ponzano”: Querci ne era ben consapevole e la ha sempre alimentata coinvolgendo attivamente gli appassionati-clienti, tra i quali Marcello ama ricordare il compianto amico Peppino Iazzetta. E’ questo forse che ha predisposto le basi per la cosiddetta “scuola toscana” che si è concretizzata nel tempo, dopo la sua morte, attraverso alcuni amici e seguaci che portano avanti con altri affissi quel concetto di tipo che Querci ha immaginato e fissato, l’impostazione sportiva e professionale dell’allevamento, l’attenzione e l’importanza data al proprio genotipo, al punto di essere molto geloso e protettivo al riguardo. In ogni caso Mario non era propriamente un “maestro”, non amava parlare delle proprie tecniche, delle proprie idee, era molto riservato in questo e la risposta classica a chi gli chiedeva insegnamenti era: “chi ha occhi per vedere, impari”.
Certamente c’era una forte diversità di pensiero fra i “napoletani veraci” convinti di essere i depositari dell’estetica del mastino e “l’intruso toscano”. Querci, pur partendo da importanti soggetti recuperati in
Campania, sviluppava un proprio percorso di evoluzione e valorizzazione della razza, che non ammetteva molti dei difetti estetici ancora invece presenti in molti soggetti di estrazione rustica quali ad esempio mancinismo, insellature, scarsa capacità di movimento, anche se in presenza di ossature e diametri sicuramente più importanti, da sempre invece rimaste le caratteristiche più ricercate ed apprezzate dagli allevatori di scuola napoletana. “Doppiezza”, “scostumatezza”, volumi contro eleganza e cesello di rughe. Veracità imperfetta contro tipicità ri-interpretata. Masaniello contro Lorenzo dè Medici… Argo di Ponzano, fra i maschi, è forse il cane maggiormente rappresentativo del suo ideale di cane e quello al quale era particolarmente affezionato (ndr: per dovere di informazione, una voce piuttosto diffusa nel napoletano mette in dubbio le
effettive origini Ponzano di Argo, ma Marcello nega fermamente senza tentennamenti , “Argo l’ho visto io nascere a casa!”, aggiungendo così un'altra versione oltre a quella che lo vedeva nascere da un amico dentista di Mario al quale lo stesso aveva affidato una cagna, piuttosto che prelevato da cucciolo da don Paolino Scotti...la verità solo Mario la sà...). Quello che avrebbe voluto possedere era, come per tutti gli allevatori, quello che sarebbe nato nella cucciolata prossima a venire, figlio del soggetto di punta del momento, per il quale era stato accuratamente scelto il partner. Si tornava così sempre al principio, all’essenza del gioco, al sogno.
I ricordi particolari, i segreti.
Marcello Querci racconta: “Per quanto possa conoscere, almeno fino ad una certa epoca, il rapporto di rivalità era fondamentalmente fra Napoli e Prato. Ovviamente, nessuno dei contendenti dava vantaggi agli altri, come pure fra “napoletani” stessi. Ognuno teneva per se i propri segreti e le proprie intuizioni. Le visite a qualche allevatore (ne ricordo alcune) a cui ho partecipato da ragazzo erano improntate ai convenevoli, all’esprimere ammirazione per lo stallone o la fattrice che veniva mostrata ma niente più. Il “duello” era molto più sottile, fatto di occhiate furtive lanciate verso un soggetto in disparte, che non ti veniva mostrato. Era la ricerca di un qualcosa da ghermire ed utilizzare a proprio vantaggio: un cucciolo da acquistare per insanguare, senza manifestare troppo interesse per le doti intuite in esso; chiedere una monta, più per garbo verso l’ospite che per reale interesse. Indubbiamente, dalle origini dell’allevamento alla
metà degli anni sessanta, il luogo di reperimento dei rari ed occasionali soggetti utili per il rinsanguamento e perseguire la via dell’evoluzione del tipo era la Campania. Ma dove andasse e da chi provenissero i cani che raramente portava a casa, non mi era dato sapere, né
tanto meno se venissero poi utilizzati. Mio padre era molto riservato in questo. Certamente lui, salvo rarissime eccezioni, non dava volentieri le monte dei propri stalloni, a nessuno, napoletani compresi. Ma questo per evitare contraffazioni della paternità, un tempo piuttosto diffusa. Se vogliamo era, la sua, una forma di difesa, la preoccupazione che non gli venisse
riconosciuto il contributo che avrebbe apportato ai mastini della Campania. Mi spiego meglio: era sempre orgoglioso di comprare una fattrice nell’area vesuviana (a cui restava particolarmente affezionato), importante per migliorare il suo tipo. Ma essa, con il suo allevatore, non è mai stata contraffatta nei libri genealogici dell’allevamento e nei certificati di nascita dei cuccioli. Purtroppo non era altrettanto certo del contrario.
Per quanto riguarda le mostre, particolari segreti nella preparazione delle più importanti non ci sono. Era stupefacente vedere mio padre in ring, da solo, con un gruppo di 5, 6 o 7 mastini, vederne il movimento naturale senza nessuna forzatura o nessuna fatica. Certo, di carisma ne aveva e non poco, ma questa semplicità di comando e di cieca ubbidienza dei cani era dovuta al dover fare di necessità virtù. Date le ristrettezze di spazio logistico, i nostri cani dovevano essere portati fuori, a sporcare, sulle rive del fiume nelle vicinanze della nostra casa, più volte al giorno. E chi lo faceva? Solo ed esclusivamente lui, portando due, tre ed anche quattro cani tutt’insieme, camminando per strada, attraversando il traffico. Questo, oltre alla perfetta capacità di comunicare con i suoi cani, era il segreto della simbiosi che poi si ritrovava nel ring.
Pur avendo vissuto lungamente nella cinofilia, ne è sempre stato fuori dal potere di governo, principalmente
perché non aveva disponibilità di tempo da dedicargli. Ricordo che tanta era l’importanza che mio padre dava ai ruoli e al rispetto di una certa forma che, pur conoscendo e frequentando anche al di fuori dell’ambiente moltissimi giudici, a nessuno di loro ha mai dato del “tu”, neanche in privato. Era rigoroso in questo, la cinofilia che più lo affascinava era quella militante, quella del “cane a guinzaglio”, da allevare e portare in ring, ogni anno un nuovo soggetto da presentare. Quella cinofilia fatta sicuramente di sacrificio ma anche di grandi soddisfazioni. Fra le soddisfazioni c’era quella della gioia di un bambino nel vedere quello che sarebbe stato il suo futuro cucciolo, oppure il momento in cui il cucciolo poteva finalmente portarselo a casa. Era sicuramente la perpetuazione della sua gioia di fanciullo che si era immaginata di possedere un cane, quel cane così antico, arcaico che aveva visto per la prima volta a Prato negli anni venti. Con i privati era sempre prodigo di consigli, gli descriveva il mastino negli aspetti più reconditi, gli spiegava ogni sua reazione nelle varie circostanze della convivenza in famiglia; faceva un training psicologico al futuro proprietario esponendogli si i sacrifici necessari ad
accudire correttamente un cane difficile come il mastino napoletano, però non terminava mai di elencarne le doti di guardiano fede e le qualità di compagno affettuoso. Con i suoi seguaci, e per la verità anche con noi della famiglia, non amava parlare troppo del suo modo di selezionare, valutare, allevare e quasi tutti i “segreti di Querci allevatore” se li è portati via con lui. Al massimo, ci chiedeva le nostre impressioni su qualche cucciolo o cucciolone, quasi a voler valutare le nostre eventuali
qualità di futuro mastinaro. Restano soltanto gli appunti manoscritti e schizzi disegnati per un libro mai pubblicato, che in futuro magari riusciremo a predisporre ”.
Conclusioni
Tanto di più bisognerebbe scrivere, raccontare di Mario Querci.
Magari ci torneremo sopra in futuro. Quello che ci piacerebbe aver trasmesso è la comprensione della svolta impressa da Querci all’allevamento del mastino, sintetizzabile in: valore e importanza del ring, considerato come teatro nel quale esibire la propria “arte” e la propria visione del mastino, introduzione del concetto di “allevamento professionale e sportivo” con estrema attenzione al proprio genotipo da
perpetuare attraverso rigorose regole e la creazione di una comunità di seguaci e cultori di un modello di mastino prevalentemente selezionato per fini espositivi a cui tuttora si ispirano alla sua “scuola toscana”. In pratica, inizialmente c’era il mondo un po’ naif dei mastinari napoletani e, dall’altra parte, il “professionista” Mario Querci. Ognuno con il proprio ideale di tipo. Oggi le cose si sono un po’ più mescolate e il sangue di Ponzano scorre in molti dei soggetti di area campana come, probabilmente, molto del sangue napoletano scorreva nei suoi campioni all’epoca. Pur essendo stato certamente il più premiato, è difficile dire se Querci sia stato il più importante allevatore di questa razza; se lui abbia o meno trasformato e evoluto il mastino napoletano. Lungi da me l’idea di fare celebrazioni, non è il caso, non c’è bisogno e, personalmente, il suo approccio quasi esclusivamente estetico al mastino rimane controverso e per certi versi discutibile, visto che poi quasi tutti si sono indirizzati su quella strada, in tentativi peraltro mai riusciti di eguagliarlo. Certo è che lui, con la sua dedizione, con la costante e continuativa presenza in ring, con la perseveranza e l’onestà morale che lo ha sempre contraddistinto (nella vita privata ed in quella cinofila), è stato determinante nella diffusione di questa razza in Italia ed in Europa, un punto di riferimento degli appassionati di tutto il mondo che ancora oggi (alcuni increduli o sorpresi della sua scomparsa) scrivono o telefonano a casa Querci per parlare di mastini.
Scusate se è poco.
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