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Staminali: sui cani
funzionano...
a cura di Gianna Milano
In questi animali, con muscoli più simili per dimensioni
a quelli di un bambino, quindi più significativi negli esperimenti di laboratorio, hanno prodotto risultati nella
cura della distrofia di Duchenne. Quando sarà possibile il passaggio alla sperimentazione sull'uomo.
Le cellule staminali tornano alla ribalta. Questa volta non per essere al centro di dibattiti e polemiche, come accadde
il giugno scorso durante la campagna referendaria sulla legge 40, ma per i risultati ottenuti con un tipo
particolare di staminali, i mesoangioblasti, nella cura della distrofia di
Duchenne.
I «pazienti» sono per ora 13 cani Golden retriever, afflitti da una forma di malattia simile a quella che
colpisce l'uomo: le loro cellule non producono distrofina, la proteina indispensabile per la funzione delle fibre
muscolari. Un video mostra un retriever di 2 anni, Azor, dopo il trattamento, ossia dopo l'infusione, cinque in tutto
a distanza di un mese una dall'altra, nel suo sistema arterioso delle cellule staminali: se prima trascinava a
malapena le zampe posteriori ora cammina, gioca, scodinzola e corre perfino.
SPECIALE MACCHINARIO
«La forza e il tono dei suoi muscoli, come abbiamo potuto verificare con uno speciale macchinario, sono aumentate. La
distrofina era espressa in un grande numero di fibre e la forza muscolare era cresciuta in proporzione. Un risultato
importante che ci conferma di avere imboccato la strada giusta. Tuttavia, come la storia della ricerca scientifica
ci insegna, quando si passa da un sistema a un altro, dalle cellule in vitro, poi i topi e ora i cani, le cose si
complicano. Prima di poter procedere sull'uomo occorrono anni e un grande impegno, anche economico. Dobbiamo
innanzitutto caratterizzare i corrispondenti mesoangioblasti umani» dice Giulio Cossu, direttore dell'Istituto di
ricerca sulle cellule staminali al San Raffaele di Milano, autore con l'Università di Pavia e la Scuola veterinaria
francese di Maisons-Alfort, dell'esperimento sui cani, i cui risultati sono ora pubblicati sull'ultimo numero di Nature.
15 ANNI DI LAVORO
Lo studio è frutto di 15 anni di lavoro, finanziati da Telethon. Le prime osservazioni incoraggianti con
mesoangioblasti, cellule staminali molto particolari isolate dalla parete dei vasi sanguigni e possono attraversarli,
furono pubblicate nel 2003 su Science e vennero fatte su topi con una forma particolare di distrofia muscolare. Anche
in quel caso migliorarono la funzionalità dei muscoli malati. «L'importanza di questi risultati sui cani è
data dal fatto che sono animali più grandi, con muscoli più simili per dimensioni a quelli di un bambino. E poi i
cani sono uno diverso dall'altro, come gli esseri umani. Un modello indubbiamente migliore rispetto al topo» osserva
Cossu.
MUTAZIONI DI GENI
La distrofia di Duchenne è la più grave e frequente tra quelle muscolari (se ne conoscono una trentina), dovute a
mutazioni di geni che codificano per proteine della membrana, quelle che forniscono supporto elastico alle fibre
muscolari quando si contraggono. È ereditaria, trasmessa per via materna ai maschi, e non esistono per ora terapie
capaci di bloccare la degenerazione dei muscoli scheletrici.
Antinfiammatori, come il cortisone, aiutano solo a rallentare questo processo. Benché la malattia sia stata
descritta da Duchenne più di centocinquanta anni fa, la sua base molecolare è stata chiarita venti fa. Nel 1986
venne infatti identificato il gene per la distrofina, la proteina geneticamente mancante.
OSTACOLI
E da allora inutili i tentativi fatti di terapia genica. Gli ostacoli? Primo, trovare un vettore virale capace di
contenere un gene così grosso (è più grande dell'intero genoma del batterio Escherichia coli) e
traghettarlo a tutti i muscoli del corpo, quelli respiratori (essenziali per la vita) e quelli importanti per i movimenti
degli arti. E, secondo, riuscire a far superare ai vettori virali la membrana basale che avvolge le fibre muscolari.
Prospettive di cura che oggi sono aperte dai mesoangioblasti. «Cellule staminali che hanno la
capacità di differenziarsi in diversi tipi cellulari del muscolo e dell'osso» spiega Cossu. «E che contribuiscono
a formare l'impalcatura e il motore del corpo, ossia il sistema osteomuscolare e cardiovascolare».
IMMUNOCOMPATIBILI
Anche i cani trattati hanno ereditato il gene anomalo responsabile della distrofia dalla madre. Nell'esperimento
le cellule staminali, isolate dall'animale distrofico, sono state modificate in modo da contenere la versione corretta
della distrofina. E in altri i mesoangioblasti usati sono stati «donati» da cani sani e immunocompatibili. «Nei
Golden retriever che hanno ricevuto le cellule staminali isolate da donatori sani si è riscontrato un miglioramento
maggiore. Un vantaggio che però comporta il ricorso a farmaci
immunosoppressori, ciclosporina, per evitare il rigetto delle cellule del donatore. Farmaci la cui
somministrazione non può essere interrotta e comportano effetti collaterali» continua
Cossu.
NUOVI VETTORI VIRALI
Quando sarà possibile il passaggio alla sperimentazione sull'uomo? «Anche se il cane rappresenta il modello
animale più vicino alla malattia umana, il passaggio ai trial clinici richiede ancora molto lavoro di ricerca. È
importante per esempio trovare nuovi vettori virali per trasportare la distrofina nelle cellule» risponde Cossu.
«Un primo passo è stato fatto, ora bisogna continuare. Non vogliamo alimentare false speranze, ma neanche essere
pessimisti. Ai pazienti e ai famigliari raccomandiamo di continuare a rimanere in cura presso i loro specialisti che
saranno informati dei progressi della ricerca e di una sua applicazione clinica».
fonte: Panorama.it
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