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Il mastino napoletano: un guerriero della compagnia dei veterani

a cura di Vito Buono

Uno che non avesse mai visto i cani di razza italiana si figurerebbe il mastino napoletano un duro per modo di dire, facendosi fuorviare da quel "napoletano". Lo immaginerebbe un po' buontempone, allegro e scanzonato; affidabile sì, ma più per un spensierata compagnia che per un lavoro da mastino. Rimarrebbe scioccato, invece, a vedere questo mastino com'è: niente mandolino, niente parole di troppo, niente smancerie, ma una faccia che ti fissa "imperturbabile, occhi non ostili e non gentili, uno sguardo che non dà e non chiede ... rimira".
E' così che lo descrive Piero Scanziani.

Ha lo sguardo di un guerriero della compagnia dei veterani che se ne sta solo con i suoi pensieri; e nel suo viso segnato dalle rughe ci puoi immaginare la storia di guerre, conquiste e difese ad oltranza. Insomma la vita di un mastino napoletano è stata tutto il contrario di canzonette e mandolino.

Da quando il suo antenato scese sulla terra (in Tibet), questo cane l'uomo lo volle con sé al fianco di tutti i suoi condottieri che muovevano alla conquista del mondo.
Ho detto "scese sulla terra" perché ad alimentare la fama di questi grandi cani, mastini e molossi, c'è un'origine divina: la leggenda, e cito ancora Scanziani, vuole che "il primo avo del molosso partenopeo è Sirio, il fedele cane di Orione.
Sirio che segue il suo padrone gigantesco nell'immensità del firmamento e diventa in tal guisa la stella più fulgida del nostro cielo. Così l'origine del mastino napoletano si perde nel paradiso degli dei".

E di padroni giganteschi il nonno del mastino ne ha avuti a iosa:
dall'Estremo Oriente, sempre in testa agli eserciti, si è spinto fino al Medio Oriente intruppandosi prima con Fenici, Assiri, Babilonesi, poi con Greci, Latini, Iberici, Galli.
Fu quindi al fianco di Serse, Ciro, Filippo il Macedone, Alessandro il Grande e di tutti i condottieri Romani; i Conquistadores spagnoli se lo portarono oltre Atlantico per assicurare alla corona l'oro dell'America Latina, gli Aragonesi e i Borboni in Italia.
Qui però il papà dell'attuale mastino napoletano c'era già dai tempi dei Romani, ma quello spagnolo certamente servì a rinsanguare la razza e, soprattutto, a rivalutarla agli occhi dei più anche con una abbondante iconografia che gli spagnoli, non lesinarono di produrre facendosi ritrarre con i grandi molossi quasi a voler ribadire, anche col cane, la loro potenza e temibilità.
Tutti, poi, giusto per non fargli perdere l'attitudine al combattimento, usarono il Mastino Napoletano, suo padre e suo nonno, a caccia, al cinghiale naturalmente, tanto per rendergli la vita sempre difficile.

Questa millenaria, dura e impegnativa frequentazione con i forti, i potenti ed i coraggiosi che ha dovuto proteggere e di cui ha dovuto sempre difendere case, tenute e ricchezze d'ogni genere, ha chiaramente influito sul carattere del Mastino Napoletano. E così questo monumento della razze canine è venuto su con un coraggio da leone, con la consapevolezza di dover contare solo sulle sue forze e con la determinazione di chi sa che ogni confronto può mettere in gioco la vita.
Il nostro napoletano quindi, ora che se ne sta nelle nostre case come un guerriero della compagnia dei veterani che ha compiti di sentinella e di protezione, non transige sulla violazione del territorio e non guarda, come si dice, in faccia a nessuno.
E' ostinato ma senza ottusità, determinato ma senza capricci né impulsività, fedele ma senza troppe cerimonie e di poche parole "pronto ad azzannar senza latrato" come di lui dice D'Annunzio.
Ma la stoffa del soldato gli è rimasta e sono solo i nemici che devono temerlo, con il capo di casa e i bambini è di una dolcezza inaspettata e commovente.

Vito Buono

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