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Le Unità cinofile in
soccorso a Haiti
( foto: www.monteranoriserva.com
)
La prima linea dei soccorsi, cani in azione.
Haiti, squadre cinofile da tutto il mondo per affiancare i soccorritori nelle ricerche dei superstiti tra le macerie.
MILANO - Per loro in fondo è un po' la continuazione di un gioco, quello che hanno imparato iniziando a frequentare i corsi di addestramento in uno dei tanti centri che fanno capo alle associazioni di protezione civile o ai corpi militari dello Stato. Ma il loro «gioco» è in grado di salvare molte vite umane. Appena è scattata l'emergenza anche loro, i cani da catastrofe, sono stati mobilitati assieme alle squadre di ricerca e di pronto intervento partite da ogni angolo del mondo. Nelle loro gabbie hanno attraversato mari e oceani. E adesso aspettano solo di entrare in azione, segnalando ai loro conduttori la presenza di persone ancora in vita sotto i palazzi crollati. Li abbiamo già visti in azione in Abruzzo, dopo il sisma dell'aprile scorso. Gli «angeli a quattro zampe» hanno permesso ai vigili del fuoco e ai militari impegnati nelle ricerche di concentrare gli sforzi dove c'era la certezza della presenza di esseri umani. E così faranno anche tra le rovine dell'area di Port-au-Prince completamente devastata dal terremoto di martedì notte.
SQUADRE DA TUTTO IL MONDO - Squadre cinofile sono partite dalla Spagna, dalla Francia, dal Messico, dagli Usa. Persino dalla Cina e da Taiwan. Il contributo fornito dai cani è irrinunciabile. Il loro fiuto è eccezionale, la loro capacità di infilarsi in fessure e anfratti quando a poche ore da un evento come un terremoto per l'uomo è impossibile farsi largo tra i cumuli di macerie può fare la differenza tra la vita e la morte. In queste situazioni, si calcola che sia di circa 72 ore il tempo massimo di intervento per poter sperare di recuperare persone ancora in vita. A volte qualcuno sopravvive di più, ma spesso in questi casi si inizia già a parlare di miracolo, perché di solito chi resta travolto dalle macerie è quasi sempre ferito e non ha la forza per resistere a lungo. Fondamentale, insomma, vincere il fattore tempo. E concentrare gli sforzi e le operazioni di scavo laddove c'è certezza di trovare qualcuno. E dove agire, sono proprio loro, i cani, a segnalarlo.
IL RAPPORTO UOMO-ANIMALE - I cani utilizzati in queste situazioni possono essere di varie razze e gli esemplari più idonei vengono di solito selezionati già negli allevamenti. «Il loro addestramento inizia quando sono ancora cuccioli - spiega il vicequestore aggiunto Giovanni Quiglini, responsabile delle unità cinofile e a cavallo del Corpo Forestale dello Stato -. Vengono assegnati ad un conduttore e dal momento del loro primo incontro, i due inizieranno a fare "coppia fissa". Il cane inizia a vivere con il conduttore, va a casa con lui, tra i due si crea una stretta simbiosi. E' la cosa più importante stabilire un legame molto forte tra l'0uomo e l'animale». Perché per il quattrozampe la ricerca dei dispersi è sì la prosecuzione di un gioco imparato durante l'addestramento, ma quando il cane è diventato operativo, in un certo senso capisce anche di operare per conto dell'uomo. E quello che fa lo fa soprattutto per assecondare la richiesta del suo accompagnatore. «Sta eseguendo un compito - puntualizza il vicequestore Quiglini - e tanto più il rapporto con il conduttore è solido, tanto più sarà determinato nel raggiungere l'obiettivo». Di qui l'esigenza di una forte identificazione dell'animale con il proprio conduttore.
ADDESTRAMENTO CONTINUO - L'addestramento prevede diverse fasi: dalla socializzazione all'obbedienza e fino all'apprendimento delle tecniche operative. Il primo addestramento dura alcuni mesi, ma poi è di fatto in continuo e ogni anno vengono eseguiti diversi test di operatività. A L'Aquila i cani della Forestale, assieme a quelli dei vigili del fuoco e degli altri corpi militari o di polizia e della protezione civile, hanno dato un contributo fondamentale. «Quegli splendidi animali hanno svolto davvero un grande lavoro - conferma Quiglini -: senza di loro molte persone non avrebbero potuto essere salvate».
a cura di Alessandro Sala
14 gennaio 2010
fonte: www.corriere.it
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