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Popolazione numerica ( foto di Valerio Meucci per difossombrone.it ) L'avere un numero elevato di rappresentanti per una razza canina non
necessariamente vuol dire avere elevata biodiversità. Considerando che ogni
razza "artificiale" parte da un numero di capostipiti limitato (vedi numero di
mastini iniziali ufficialmente riconosciuti) e che la pressione zootecnica la
porta spesso ad incroci in consanguineità, il numero di caratteri genetici in
quella popolazione sarà inevitabilmente basso. Come se avessimo delle urne
contenenti palline colorate di solo cinque colori (conseguenza del numero iniziale basso) distribuite casualmente per ogni urna (quindi ci sarà quella
con più giallo, quella con più rosso e così via); per ogni estrazione, in
ogni urna, non potremo che pescare uno di questi colori. Se poi effettuassimo
estrazioni con più frequenza in un urna che in altre, (accoppiamenti in consanguineità od anche uso sempre degli stessi riproduttori) e le sfere
estratte messe in nuove urne rappresentassero la popolazione che procede, e
così via, avremmo grosse probabilità di perdere anche qualcun altro dei colori iniziali (ovviamente le palline rappresentano i caratteri
trasmissibili). L'incremento numerico di una popolazione quindi non rispecchia
il suo grado di diversità genetico, o popolazione genetica effettiva (numero
di colori) che dipende in primis dal numero di fondatori, in seconda battuta
dal quantitativo di accoppiamenti in consanguineità eseguiti e dal numero dei
riproduttori realmente utilizzati. Il grande numero, in questo contesto, ha il
solo vantaggio di limitare la diminuzione della biodiversità (per una
questione statistica). E' ovvio che una razza rappresentata da 100 individui
ed in crescita lenta presenta, in linea di massima, più problemi di una di
1000 individui in crescita rapida.
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