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Alcuni cenni sulle Micotossine: descrizione sommaria, effetti
a cura di Dario Sgroi
( immagine: www.med.univ-angers.fr
)
Appianate le occorrenze e i riferimenti prettamente biochimici, microbiologici, a vantaggio di una fluida la lettura, si è cercato di sintetizzare una base concettuale utile ai nostri interessi cinofili.
Il problema delle contaminazioni micotossigeniche negli alimenti d'impiego zootecnico largamente utilizzati per soddisfare le esigenze nutrizionali dei nostri esemplari canini sta assumendo una rilevanza sempre maggiore le cui implicanze salutistiche non possono più essere ignorate.
Le micotossine sono subdoli inquinanti, metaboliti tossici derivati dalla biosintesi di colonizzazioni micotiche, aventi effetti cancerogeni, genotossici e
teratogeni.
Ammesso che le derrate cerealicole vengano contaminate dal micete attivatore, neanche i trattamenti termici previsti nei processi di lavorazione dei prodotti pallettati (crocchette) potranno eliminare del tutto i loro metaboliti tossici, quindi il mangime per cane contenente cereali contaminati, seppur in quantità infinitesimale, andrà a minare seppur lentamente la salute del nostro cane.
Da qui l'enorme importanza di controlli accurati sulla provenienza delle derrate agroalimentari utilizzate nella filiera produttiva dei mangimi d'uso zootecnico per scongiurare l'insorgenza di molteplici conseguenze patologiche a danno della salute degli utilizzatori finali.
Le Micotossine e loro effetti cancerogeni
Le micotossine rappresentano un gruppo eterogeneo di sostanze chimiche prodotte dal metabolismo secondario dei miceti – sostanze tossiche per l’animale e per l’uomo. Gli alimenti più soggetti a contaminazione diretta sono soprattutto:
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cereali (mais, frumento, riso, orzo, segale, ecc.),
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semi oleaginosi (arachidi, girasole, semi di cotone, ecc.),
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frutta secca ed essiccata,
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legumi,
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spezie,
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caffè e cacao.
Tracce di micotossine possono essere rinvenute in forma di residui o metaboliti tossici nei prodotti alimentari derivanti da animali a loro volta alimentati con mangimi contaminati, permettendo la commistione nelle filiere agro-alimentari di destinazione animale e umana. (contaminazione indiretta - carry over).
Dal punto di vista biochimico esse esercitano un’azione dannosa a carico delle funzioni cellulari, e seconda del quantitativo ingerito dall’organismo animale, possono cagionare la morte immediata.
Le micotossine non costituiscono una vera e propria classe chimica, bensì tra loro presentano delle strutture diversificate.
Attualmente, sono state individuati più di 300 tipi di micotossine, sebbene la maggior parte delle ricerche siano concentrate su aflatossine, ocratossine, tricoteceni, zearalenone e
fumonisina.
Solo un 8% circa delle micotossine identificate costituiscono un serio pericolo alla salute animale e umana essendo significatamene presenti negli alimenti a livelli piuttosto elevati.
A puro titolo di informazione i tre generi di funghi nonché maggiori produttori di tossine sono:
spergillus, Penicillium e Fusarium.
Prodotte soprattutto dal genere Aspergillus, si ricavano le famiglie delle aflatossine, mentre dal Penicillium abbiamo le ocratossine e la
patulina.
In ultimo, dal genere Fusarium derivano: zearalenoni, fumonisine e
tricoteceni.
Come si è indicato in precedenza, le micotossine evidenziate attualmente sono circa 300 - sia singolarmente che combinate, intraprendono una specifica azione tossica a danno dell’organismo recettore:
Micotossina |
Effetto |
Aflatossina
B1
Ocratossina
A
Fumonisina
B1
Tricoteceni
Zearalenone
Patulina
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Cancerogeno,
epatotossico, immunosoppressore, genetossico
Nefrotossico, teratogeno, immunosoppressore, cancerogeno
Neurotossico,
cancerogeno, citotossico
Immunosoppressore,
dermatotossico, emorragico
Estrogenosimile
Citotossico,
immunosoppressore
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Le micotossine, anche se esposte a notevoli fonti di calore, risultano essere molto resistenti.
A tal proposito, nonostante la cottura a vapore, in autoclave, a pressione, delle singole derrate alimentari utilizzate nella preparazione dei mangimi, i trattamenti termici adottati (per breve tempo temperature estreme fino ai 600°) non riescono ad eludere completamente la presenza di micotossine o loro derivati ancora attivi, i quali possono persistere dopo la morte del micete, sebbene alla vista il prodotto alimentare non sembri mostrare alcuna traccia di muffa o degradazione organica.
La contaminazione dei prodotti agro-alimentari è influenzata dalle condizioni climatiche (temperatura, umidità relativa, ecc.), geografiche (area continentale, tropicale, ecc), dalle pratiche di coltivazione e di conservazione (insilamento, trasporto nelle stive, ecc) e dal tipo di substrato interessato (terreni azotati per lo più), in quanto alcuni prodotti sono più suscettibili rispetto ad altri alla crescita fungina.
Le micotossine si sviluppano sia sulle piante, prima del raccolto (contaminazione da campo), che nelle derrate vegetali dopo il raccolto, durante i processi di conservazione (in magazzini, silos, ecc.), trasformazione e trasporto.
L’impatto tossico sulla salute del cane dipende dalla quantità di micotossina assunta attraverso gli alimenti contaminati, dal grado di tossicità del composto, dal peso corporeo del soggetto, dalla contestuale combinazione di una o più micotossine e da fattori dietetici; inoltre l'impatto micotossicogeno in termini patologici può variare da specie a specie animale dove è possibile riscontrare una minore o maggiore resistenza ai vari tipi di micotossine.
Il rapporto di causalità tra l’ingestione di micotossine e l’insorgenza di una specifica malattia si esprime soddisfacendo l’esteriorizzazione alcuni criteri:
- presenza di micotossine negli alimenti;
- accertata esposizione alle micotossine;
- correlazione fra esposizione e incidenza di una data patologia;
- riproducibilità della sintomatologia negli animali da esperimento;
- similare modalità d’azione nell’uomo come nei modelli animali.
Gli effetti provocati dalle micotossine sulla salute dell’uomo e degli animali sono noti da tempo. Ad esempio nel secolo XIX° fu chiarita l’associazione tra l'ingestione di segale cornuta, ovvero contaminata da Claviceps purpurea, con la comparsa di ergotismo.
Successivamente fu descritta una sintomatologia tossica dell’uomo dovuta all’ingestione di pane ottenuto con frumento infestato da Fusarium
graminearium.
Negli anni 1942-47, diversi villaggi rurali della Russia furono colpiti dalla leucopenia tossica alimentare causata dal consumo di frumento e miglio contaminati da Fusarium sporotrichiodes e Fusarium
poae.
Il duplice aspetto sanitario ed economico delle micotossine fu pienamente rilevato nella sua importanza in Inghilterra nel 1960, (inizio vero e proprio della tossicologia moderna su basi biologiche), alla comparsa della malattia X (ics - come incognita) del tacchino - causata da una fornitura di farina d’arachidi contaminata dall’aflatossina – ovvero la prima micotossina rilevata dai biochimici del tempo prodotta dal micete Aspergillus flavus. Tale intossicazione da micotossina non provocò solo la morte di numerosi tacchini, ma interessò anatroccoli, suini e bovini.
I dati ottenuti da studi condotti su animali indicano che il consumo di alimenti contaminati da micotossine può produrre nell’uomo un’ampia varietà di quadri patologici, sia acuti che cronici, oltre che di difficile diagnosi.
Il dato quantitativo di micotossine riscontrabili nei prodotti contaminati è in continuo perfezionamento, grazie a sempre più sofisticati metodi d'analisi chimica in grado d'identificare le parti infinitesimali
(parti per bilione /ppb = ng/g ; oppure, parti per trilione/ ppt = ng/Kg).
Aflatossina
Scoperta nel 1961 - Turckey X disease
Note generali:
sono state identificate per prime e ancora oggi sono le micotossine quantitativamente più inquinanti. Le Aflatossine derivano esclusivamente da alcuni ceppi di Aspergillus flavus e da quasi tutti i ceppi di Aspergillus parasiticus.
Derivano dalla cumarina e vengono denominate con le sigle B1 (metossi-difuro-cumarone) e B2 (metossi-difuro-cumaro-lattone), G1, G2 (loro di-idroderivati), M1, M2 - metaboliti idrossilati di B1 e B2 di latte, formaggio, burro (bestiame lattifero alimentato a sua volta con mangimi inquinati da aflatossine B1 e B2).
*Le tipologie B e G corrispondono al tipo di fluorescenza che tali micotossine emettono, se irradiate con luce ultravioletta di 360 nm (Blu o Green), mentre la lettera M è l’iniziale del prodotto idrossilato che viene ritrovato nel latte (Milk = latte).
Le aflatossine sono elettivamente epatotossine con spiccata attività cancerogena, mutagena e probabilmente
teratogena.
La B1 è stata oggetto di approfondite ricerche, proprio a causa della sua particolare attività tossica (secondo della quantità anche letale) sull’organismo animale.
Sono assorbite nel tratto gastrointestinale dove vengono o attivate metabolicamente o detossificate nella mucosa intestinale e nel fegato.
Nell’uomo come nelle specie animali c’è un’ampia variazione interindividuale per quanto concerne l’attivazione metabolica
dell’aflatossina B1.
Un importante meccanismo di detossificazione nell’aflatossina B1 riguarda la produzione endogena di Glutatione (GSH S-transferasi), per mezzo di appositi trattamenti induttori (etossichina, oltipraz, fenobarbitale) proteggendo l’animale dall’azione tossica ed epatocarcinogena dell’aflatossina.
*GSH (tripeptide costituito da glicina, cisteina e acido glutammico).
Le aflatossicosi possono manifestarsi negli animali da allevamento sia in forma acuta con improvviso decesso dei soggetti più colpiti, sia come malattie croniche.
Comunque, in considerazione delle concentrazioni di aflatossine che normalmente si ritrovano nei mangimi, appare palese che le aflatossicosi subacute sono molto più diffuse rispetto le forme acute, oltre ad essere economicamente più incidenti.
Ogni quadro clinico è influenzato dall’età dell’animale, dal sesso, dallo stato di salute generale, dalla dose assunta e dal tempo di esposizione alla micotossina (effetto di accumulo).
Gli animali più giovani sono sempre molto più vulnerabili rispetto gli adulti, come anche i mammiferi poligastrici nell’insieme, risultano più resistenti rispetto ai monogastrici (grazie per l’azione detossificante operata da batteri e protozoi).
I segni d’intossicazione da aflatossina sono stati studiati a seguito di assunzione di alimenti contaminati o per mezzo d’ esperimenti di laboratorio.
L’intossicazione acuta (superamento organico specifico della soglia di tolleranza della micotossina) in genere si manifesta nell’animale con apatia, inappetenza, stati febbrili e seconda della sensibilità specifica, anche con la morte dell’animale.
Gli organi comunemente attaccati sono fegato, reni, polmoni.
I segni più visibili nell’intossicazione cronica consistono in:
- disappetenza,
- rallentamento della crescita, e/o decremento ponderale, per lo più conseguenze del congestionamento epatico e renale,
- occasionalmente si può osservare enterite emorragica
– consegue un diffuso stato depressivo
- disturbi nervosi che si evidenziano per mezzo di incoordinazione motoria
- perdita d'equilibrio e spasmi muscolari.
In Italia il problema delle aflatossine è strettamente legato all’ importazione di alimenti contaminati provenienti dalle aree tropicali e subtropicali.
Infatti, le condizioni ambientali e tecnologiche nazionali non sono tali da far temere per manifestazioni epidemiologiche di una qualche entità.
Le tecniche colturali, come anche la stessa filiera produttiva dal campo coltivato sino alla trasformazione del cereale, in Italia è abbastanza cautelata da norme e metodiche colturali e industriali di primordine per quanto concerne l'integrità dei prodotti cerealicoli.
Il problema è dato dal fatto che il nostro paese importa molte derrate agricole, fra le quali anche mais, soia, riso, avena, frumento, ecc, ecc. oppure per quanto concerne la produzione di mangimi preparati al di fuori del contesto nazionale le derrate utilizzate provengono sempre dai paesi dell'est europeo o dall'Asia, come anche dall'America del sud e del nord.
I metodi più frequentemente utilizzati per l’analisi delle aflatossine sono l’HPLC, l’ELISA e la TLC.
Tra i prodotti particolarmente contaminati troviamo le arachidi, il mais e la manioca che, come è noto trovano larghissimo impiego nell’alimentazione del bestiame, tuttavia la probabilità d’introdurre un prodotto contaminato è maggiore per quei paesi che non esercitano un regolare controllo delle importazioni, e anzi, verso i quali sono indirizzate le partite più contaminate, magari già rifiutate da altri paesi!
La Comunità Europea è orientata a porre un limite di 4 ppb di aflatossine per gli alimenti umani, mentre per quanto concerne l’alimentazione animale la concentrazione attualmente tollerata è di 50 ppb nei mangimi per vitelli, agnelli, pollame e suini. Per i bovini da latte il limite è di 10 ppb.
L’aflatossicosi è principalmente un'epatopatia, negli animali da allevamento causa un decremento produttivo di latte e uova, del tasso di accrescimento delle bestie da carne, oltre a rendere maggiormente suscettibili gli animali alle infestazioni da parassiti o esponendoli maggiormente ad infezioni, aborti, disfunzioni gastro-intestinali, anemia, affaticamento, ittero.
Gli esemplari giovani sono più sensibili degli adulti e quando un animale è interessato da aflatossicosi c'è la concreta possibilità che incorra in epatocarcinoma, e nel tale organismo interessato da questo tipo di micotossina si verifica l’inattivazione dell' enzima s-Glutatione trasferasi - ovvero una via d’eliminazione della tossina epatica (maggiore compromissione tossicogenica del fegato).
Gli organismi digastrici grazie alla flora ruminale sono parzialmente cautelati dall'aflatossina B1 (un sotto tipo fra i più attivi come tossicità) in quanto riescono a distruggere solo una piccola quota di Af-B1
La presenza di aflatossina su di un alimento si evidenzia grazie a particolari test analitici:
· estrazione su fase solida;
· purificazione ed uno di rivelazione/determinazione;
· cromatografia su strato sottile (TLC) o liquida (LC) di analiti purificati di eventuali sostanze e composti che possono potenzialmente interferire col buon andamento dell’analisi.
Il test TLC è considerato lo standard per la ricerca di micotossine con una soglia di sensibilità accettata ufficialmente di 1 ng/g.
Oltre al TLC ed al test LC sono disponibili anche rapidi e maneggevoli metodi immunochimici come il radioimmunoassay (RIA), l’enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA) e l’immunoaffinity column assay (ICA).
Il riconoscimento della presenza di micotossine nell’organismo si espleta a fronte di sistemi di dosimetria molecolare e appositi biomarkers sui fluidi organici, difatti il monitoraggio dell’esposizione umana alle aflatossine si sta recentemente concentrando sulle analisi dell’albumina (AFB1 Albumina marker), degli addotti del DNA (addotti aflatossina marker ed AFB1 N7guanina) ovvero dall' individuazione di particolari molecole dal potere fortemente mutageno su DNA e RNA.
Numerose sono le strategie per l’eliminazione delle aflatossine:
- separazione fisica,
- inattivazione termica,
- irradiazione,
- estrazione con solventi,
- assorbimento,
- inattivazione microbiologica,
- fermentazione o metodi chimici.
Le aflatossine, oltre a causare una serie di complicanze organiche, presentano un consolidato effetto teratogeno, cioè superano la barriera placentare inducendo la malformazione fetale.
l’impatto dell’aflatossina sulla salute umana è tuttaltro che trascurabile. In mancanza di dati tossicologici diretti, difatti il rischio per l’uomo viene attualmente valutato in maniera indiretta, a partire dalla tossicologia animale e dai dati epidemiologici relativi a popolazioni a rischio.
Riscontri di appositi test ottenuti da studi condotti su animali, indicano che il consumo di alimenti contaminati può produrre nell’uomo un’ampia varietà di quadri patologici, sia acuti che cronici, di difficile diagnosi, che possono avere origine sin dai primi mesi di vita dei soggetti coinvolti.
L’aflatossina, come detto, è in grado di attraversare la barriera placentare. Questa tossina ha come organo bersaglio il fegato, è dotata di attività cancerogena e ha la capacità di provocare mutazioni genetiche.
Tra i suoi sottotipi la più potente è la B1 (AFB1) - a seguito di appositi studi di farmacocinetica concernenti l'assunzione di micotossine in organismi con o senza danni epatici- si è stabilito che la AFB1 gioca un ruolo sinergico con il virus dell’epatite B nell’insorgenza del carcinoma al fegato, aumentando la probabilità d'insorgenza di addirittura di 60 volte.
In Cina è stato avviato un programma di prevenzione vaccinale contro l’epatite da virus B proprio in virtù dell'interazione tra le aflatossicosi e le patologie pregresse a carico dell'organo epatico (Epatite B-C).
A questa esposizione, assieme alla sinergia esercitata dal virus dell’epatite B, è stato associato il carcinoma epatocellulare umano che annualmente causa circa 250.000 morti in Cina e nell’Africa Sub-Sahariana
L’assunzione giornaliera di aflatossine da parte di queste persone è di molto superiore alla media consentita dai vari organismi mondiali per l'alimentazione.
Per l’uomo la DL50 (50% della dose letale) di B1 oscilla tra 0,6 e 10 parti per milione (ppm=mg/Kg).
Anche il latte può costituire una fonte di contaminazione della AfB1 metabolizzata sottoforma di M1 (sebbene meno pericolosa del tipo B1) costituendo un elevato pericolo per i bambini ancora in fase di lattazione.
Nell’intossicazione cronica da aflatossine invece si osserva soprattutto un deficit delle difese immunitarie.
Secondo alcuni studi intrapresi per individuare le specie animali più o meno interessate dalle aflatossicosi - tra le specie ittiche la trota è risultata molto sensibile agli effetti tossici della AFB1 - a fronte di una dieta giornaliera contenente 0.004 ppm di AFB1 alla quale sono conseguite delle lesioni epatocancerose in soli 5 giorni.
Tra i volatili abbiamo ad esempio sono stati riscontrati l'anatroccolo, il tacchino e il pulcino di gallina.
Tra i mammiferi il coniglio, il ratto, il cane, il suino giovane.
L’agnello e in genere gli ovini e i caprini risultano essere meno coinvolti dalle micotossine (erbivori).
I soggetti giovani o carenti di reazioni di coniugazione con il glutatione (GSH) risultano essere i più sensibili alle AF-B1 e allo zearalenone (altra micotossina) venendo meno l'importantissima azione detossificante di metaboliti particolarmente reattivi nelle biotrasformazioni organiche.
Invece in relazione alla fauna selvatica non si hanno abbastanza dati per evidenziare una concreta sensibilità
micossitogena.
Ecco alcuni livelli di tossicità da aflatossina B1 incidenti su alcuni organismi animali DL50 (mg/kg per
os):
- Trota 0,08
– Anatroccolo: 0.35-0.78 (AFB1 e AFG1)
– Tacchino: 0.4-0.6
– Pulcino: 1-1.5
– Coniglio: 0.3
– Gatto: 0.55
– Cane: 0.5-1
– Suini appena svezzati 0.62
- Pecora di ca 2 anni – 1,5 mg/kg
- Tacchino 3,2
– Ratto: 5-18
Nelle specie avicole l’anatra è la più sensibile e la quaglia la più resistente.
Ocratossina_______________
Micotossina scoperta nel 1956
Le ocratossine sono un gruppo di metaboliti strutturalmente simili, prodotti da funghi del genere Aspergillus e Penicillium, e in particolare
da A. ochraceus e da P. viridicatum.
Nelle Oc abbiamo i gruppi A e B (OcA il tipo più tossico, ad esempio conta una DL50 per l’anatroccolo di 25 - 150 microgrammi/die).
Dal punto di vista chimico l’OcA è costituita da un derivato cumarinico legato alla fenilalanina, mentre l’OcB consiste nell’analogo senza un atomo di cloro.
La biotrasformazione dell’OcA è dipendente dal citocromo P450 sia nell’uomo, sia per gli animali - tale elemento porta alla formazione di intermedi metabolicamente attivi, probabilmente responsabili nell'organismo dell’azione cancerogena, come anche di altri effetti tossici.
Tra i prodotti maggiormente contaminati vi sono l’orzo, il sorgo, il mais, diversi legumi, il caffè crudo in grani (la tostatura denatura le ocratossine) e vari prodotti da forno; ma più preoccupante è la presenza di OcA nei mangimi.
Il comitato scientifico per l’alimentazione umana (SFC o Scientific Committee for Food) ha recentemente tratto la conclusione che per l’OcA l’esposizione giornaliera non dovrebbe essere superiore a valori di pochi ng/Kg peso corporeo/giorno.
I principali metodi di analisi utilizzati per la rivelazione dell’OA sono l’HPLC con rivelazione fluorimetrica (limite di determinazione 0,1 mg/Kg), la TLC e l’ELISA.
Nel sangue l’OcA è legata alla frazione albuminica delle proteine e questa sembra essere la motivazione per cui questa micotossina permane per tempi lunghi nell’organismo animale.
A livello cellulare inibisce il trasporto intramitocondriale del fosfato e la sintesi proteica a livello della translazione mediante il blocco della fenilalanina RNA sintetasi.
L'intossicazione da Ocratossina induce danni renali, nefratopatie, immunosoppressione in diverse specie animali.
Si sommano inoltre effetti teratogeni sugli animali testati, con abbassamento difese immunitarie, effetto genotossico in vivo e in vitro(influenza il DNA – addotti).
E una micotossina molto resistente alle temperature, come all’irraggiamento solare, alla luce ultravioletta.
Viene assorbita rapidamente nello stomaco e soprattutto dall’intestino tenue e assunta principalmente nei reni e in misura minore nel fegato, nei muscoli e nei grassi.
Nel sangue si lega alle proteine sieriche, tra cui l’albumina (innalzando il valore delle Alfa2), inoltre viene eliminata molto lentamente con le urine.
La determinazione dell'ocratossina nel sangue umano e nelle urine rappresenta un biomarker d'esposizione, al quale occorre far riferimento la dieta assunta individualmente (le micotossine sono introdotte nell'organismo tramite l'alimentazione).
Il principale organo bersaglio dell’OA è il rene, ma per dosi sufficientemente elevate si ha tossicità anche a livello epatico con infiltrazione grassa e accumulo di glicogeno negli epatociti (conseguenza del blocco del sistema enzimatico delle fosforilasi).
Nei ratti la somministrazione ripetuta di piccole dosi di ocratossina produce lesioni del tubulo prossimale che comportano proteinuria, glicosuria, chetonuria, poliuria e riduzione del trasporto tubulare prossimale di ioni organici.
La Oc è molto tossica per il cane e il suino.
I processi di nefrotossicità e cancerogenicità non sono ancora ben noti – non è dato sapere con effettiva precisione se la Oc possa avere una valenza genotossica, ovvero in grado d'interagire negativamente col DNA dell’organismo ospite determinando mutazioni geniche.
La somministrazione d'una singola forte dose provoca una diarrea grave e la morte dell’animale, con gli ovvi effetti sul rene. Le stesse alterazioni si osservano anche in altre specie animali.
La Oc a tutt’oggi è inserita nella classificazione 2B nella tabella delle sostanze cancerogene, secondo gli studi della IARC (International agency of research on cancer), ovvero nei composti di accertata cancerogenicità per gli animali, mentre per l’uomo il rischio cancerogenico si ferma ad una potenziale dannosità organica.
La FAO e l’ OMS hanno identificato nelle Oc una TDA (tollerability day intake), tollerabilità giornaliera di 16 ng /Kg arrotondandola a 100 ng/Kg. settimanale.
La SCF (scientific comitee for food) della Comunità Europea invece, ritiene d'abbassare nell’uomo la tollerabilità da Oc a 5 ng/kg. in quanto una volta assorbita nel tratto gastrointestinale, attraverso la circolazione entero-epatica, la Oc può essere escreta e riassorbita: motivo per il quale tale micotossina presenta nell'organismo umano un’emivita di ben 35,5 giorni! Circa 10 volte di più rispetto al ratto, ad esempio.
Le recenti metodiche d'analisi tuttavia sono in condizione di poter esaminare anche delle tracce infinitesimali di Oc.
A maggior riscontro, nei campioni effettuati nel sangue umano sono risultate positività al 100% sebbene in quantità ridotte, ciò ad attestare la presenza diffusa delle OC nella filiera alimentare umana.
Il latte umano è interessato dalla tossina, mentre per il latte dei ruminanti la trasmissibilità è inibita grazie alla detossificazione che gli organismi digastrici possono effettuare sulla OC - grazie all'opera battericida ed enzimatica sviluppata dalla microflora ruminale, riuscendo ad eliminarla attraverso le urine appena dopo poche ore.
Nella legislazione comunitaria per il consumo umano di alimenti sono fissati dei limiti definiti di assunzione, mentre per la mangimistica zootecnica non vi sono che quantità tollerabili (come spesso accade per rimediare a certe inandempienze nazionali, vedi il mercato suinicolo di Danimarca e Scandinavia dove la OcA ricorre con carattere endemico in sotto forma d'una malattia renale, nota come nefropatia micotossica dei suini che è stata anche recentemente segnalata in altri nove paesi della UE).
Come riferimento di massima resta fermo dunque un provvedimento del 2006 che si rifà a sua volta ad un D. legge del 2003 dove si prendono in considerazione quantità tollerabili di 0,25 mg/kg (ppb) – 0,05 mg/Kg per il suino e per il cane lo 0,1 mg/kg per i polli.
Il cane è sensibile alla tossicità da OCa - in particolare uno dei primo organi bersaglio è il rene (effetto nefrotossico), anche se raramente per questa specie si individuano esattamente le condizioni che determinano l'intossicazione (sebbene sia accertato che avvenga attraverso l'assunzione di mangime contaminato, non sono noti i meccanismi biologici che danno seguito alla nefrotossicità).
Nella specie canina la somministrazione per via orale di dosi elevate (5 -10 mg/kg) - livelli raramente riscontrati in natura - può determinare lesioni renali, danni a fegato, intestino, milza, tessuto linfatico e ai leucociti, inducendo nella fattispecie ad una marcata immunosoppressione con linfopenia.
Tricoteceni 1_____________________________________
148 molecole evidenziate, ma di interesse alimentare
Note generali:
all'interno della famiglia dei tricoteceni, si ascrivono più di 100 composti strutturalmente correlati, prodotte da Deossinivalenolo (DON), che in ragione dei suoi effetti sul bestiame è conosciuto anche come Vomitossina e si presenta come una tra le più recenti micotossine isolate nelle farine, negli insilati e nelle granaglie in generale.
Il primo episodio ampiamente documentato, risale al 1994-95 nel Maryland ove questa micotossina è stata isolata e riconosciuta nel mais dolce destinato all'alimentazione umana, durante le fasi di confezionamento.
Successivi episodi di carcinoma esofageo in Asia, Africa ed in altre parti del mondo, hanno stimolato gli studi sul DON dimostrandone ampiamente la stretta correlazione tra la patologia carcinogenica e la presenza di questa particolare micotossina.
Le attuali conoscenze di questa tossina hanno dato agio di correlarne la presenza nei grani, ai processi di lavorazione e trasformazione (inquinamento ambientale) nonché alle variazioni di clima.
Nell'uomo, la vomitossina è un contaminante costituito soprattutto di chicchi di riso e frumento, nonché da prodotti di seconda trasformazione, quali i fiocchi d'avena e di riso, peraltro destinati all'alimentazione dei bambini per la prima colazione.
E' stata ormai accertata l'interdipendenza tra la leucopenia (micotossicosi che ha colpito più volte le popolazioni della Russia Orientale) e il consumo di cereali ammuffiti, in cui sono stati isolati insieme ai tricoteceni, altre micotossine prodotte da specie del genere Fusarium, in particolare F. tricinctum, F. graminarum e F. nivale (deterioramento delle derrate).
In Svezia, sono stati osservati contenuti di vomitossina di 40-260 ppb nel 1982 (annata di siccità) e di 50- 1160 ppb, nel 1984 (annata particolarmente piovosa).
In Austria, sono stati stabiliti limiti massimi per la vomitossina, in alcuni cereali quali frumento e riso destinati all'alimentazione umana, di 500 ppb (influenze del clima, temperatura e umidità relativa nella sede di coltivazione cui va aggiunto l'eccessivo ricorso ai fertilizzanti azotati che aumentano il rischio di formazione di muffe già nella sede di coltivazione dei mais, frumento ecc.)
Ecco un elenco delle principali tossine:
- deossinivalenolo DON
- Nivalenolo NIV
- Diacetossiscarpenolo
- Tossina T2
Tricoceteni 2
Correlazione nei casi di Aleukia tossica alimentare da cibi ammuffiti. La presenza di tali micotossine negli alimenti (in genere cereali) può dar seguito a infiammazione cutanea, lesioni necrotiche nell’ incavo orale.
Tricoteceni 3
L'intossicazione alimentare di questa classe di micotossine induce principalmente a:
- Disturbi intestinali
- Dermici
Tricoteceni gruppo B
A questa classe di micotossine appartiene il DON - una micotossina che induce notevoli danni nel settore zootecnico a causa delle ingenti perdite economiche verificatesi soprattutto negli allevamenti di suini.
Contaminazioni di 1 mg/Kg di Don provocano nella specie suina un rifiuto del cibo, vomito ed arresto della crescita, mentre concentrazioni più basse danno immunosoppressione con conseguente aumento dell’incidenza di svariate patologie.
Sono i tricoteceni più frequenti nei cereali, in particolare nel frumento, orzo e mais. Con minor frequenza sono stati trovati in avena, riso, segale e sorgo.
La presenza dei tricoteceni B è associata principalmente al micete Fusarium graminearum ed al Fusarium culmorum.
Le condizioni ideali di crescita per questi funghi sono rappresentate da temperature comprese tra 10 e 30°C ed elevata umidità dell’aria.
Il DON è una micotossina che induce immunosoppressione nell'organismo infestato.
Zearalenone
Note generali:
sono micotossine prodotti da diverse specie di Fusarium e in particolare da F. graminearum, F. gulmorum e F. equiseti.
Dei diversi metaboliti prodotti in coltura, solo lo zearalenone e gli zearalenoli (isomeri alfa e beta) sono stati rinvenuti negli alimenti di origine vegetale come contaminanti naturali.
Lo zearalenone è un lattone dell’acido resorcilico non dotato di tossicità acuta. A basse concentrazioni manifesta attività anabolica e uterotrofica (i cui applicativi trovano impiego anche nei preparati medicinali), mentre a concentrazioni più alte determina attività di tipo estrogeno.
Le specie animali più sensibili all’azione della tossina sono la bovina e la suina provocando l'abbassamento della fertilità già a partire da concentrazioni minime nella razione alimentare giornaliera di zearalenone in quantità 10 ppb oltre a manifestare segni di iperestrogenismo (tumefazioni e arrossamento della vulva, iperplasia della ghiandola mammaria, estro prolungato) a concentrazioni non inferiori a 1-5 ppm/die.
I maggiori danni organici che si verificano nell'organismo animale che assume lo zearalenone riguardano le funzionalità dell'apparato riproduttivo e degli annessi endocrini ad esso vincolato. Ecco una sequenza significativa:
1. EDC - endocrine distructor Chimical
2. Infertilità.
Nel maschio in particolare:
- ipertrofia testicolare
Si possono osservare a dosi più elevate altri disturbi dell'apparato riproduttore come:
- vaginiti, edema vulvare precoce, ipertrofia mammaria,
- sviluppo sessuale precoce,
- limitata assunzione degli alimenti,
- scarsa produzione di latte,
- irregolarità dei calori e blocco dell’ovulazione (fertilità)
- problema di gestazione, aborti
- eccessiva necessità di essere montate (forme di ninfomanie).
Da recenti studi di laboratorio sono stati rilevate attività cancerogeniche nel zearalenone (tumori ipofisari e epatici nel topo), nonché il passaggio diretto nel latte della sua carica tossica.
I prodotti più soggetti alla colonizzazione di specie tossigene di micete Fusarium e al conseguente accumulo del metabolita zearalenone sono essenzialmente i cereali e in particolare:
- mais,
- frumento,
- sorgo,
- orzo,
- avena.
In Italia la micotossina si trova con relativa frequenza nel mais di produzione nazionale come anche in quello d'importazione (ex Iugoslavia, Argentina, USA).
Attualmente non esistono norme nazionali o europee che indichino i valori massimi ammissibili per lo zearalenone negli alimenti per uso umano o nei mangimi per uso zootecnico. Solo tra gli stati europei solo la Francia e l’Austria propongono un limite di 200 e 60 mg/Kg per gli alimenti ad uso umano.
Nel 1999 il Governo italiano ha proposto un valore di tolleranza di 100 mg/Kg come limite negli alimenti per l’uomo.
L’Istituto Superiore di Sanità suggerisce di considerare tra 300 e 50mg/Kg il contenuto massimo ammissibile per lo zearalenone presente nei cereali ad uso zootecnico.
Fumonisine____________________________
gruppo di micotossine scoperte nel 1986
Note:
finora ne sono state isolate 6 tipi e sono strutturalmente correlate, prodotte principalmente dalla specie fungina F. monoliforme e
F. proliferatum, sebbene anche altre specie siano potenzialmente produttrici.
La fumonisina 1, 2, 3 sono le principali perché vengono prodotte in grosse quantità dal Fusarium monoliforme - ospite privilegiato per l'accrescimento del mais.
Le fumonisine, come gran parte delle altre micotossine, sono dotate di un'ottima resistenza termica.
La distruzione della loro struttura molecolare avviene solo a seguito di un’esposizione alla temperatura di almeno 220 °C.
La potente azione tossica delle fumonisine si pone alla base di una spiccata attività cancerogena, neurotossica, citotossica.
Conclusioni
Gli studi condotti sulle micotossicosi che ci pervengono dalla medicina veterinaria evidenziano una tossicità diversificata nelle varie specie animali dalle conseguenze devastanti a carico dei comparti organici principali (cervello, reni, fegato, ecc.).
E’ assodato che le micotossine rappresentano un fattore di rischio alimentare poco conosciuto e forse sottovalutato.
Spesso i prodotti agricoli maggiormente esposti ai contaminanti micotossigeni vengono indirizzati verso le industrie mangimistiche dove avviene il loro stoccaggio e la loro trasformazione in mangimi.
L’industria mangimistica considera come materie prime proprio quei prodotti stornati dalla filiera agro alimentare uso umano in quanto esposti a rischio di contaminazione come mais, grano, orzo, soia, etc.
La loro presenza negli alimenti può essere notevolmente contenuta soprattutto operando un più capillare controllo delle importazioni dei prodotti provenienti dalle aree geografiche più soggette a contaminazioni (aree tropicali – subtropicali, paesi del nord Europa, USA) e migliorando la sanità dei mangimi.
Oltre ad essi, un ruolo importante viene ricoperto dai prodotti secondari delle altre industrie di trasformazione che hanno un alto valore biologico per l’alimentazione degli animali (prodotti dell’estrazione degli oli dai semi oleosi quali farina di arachidi, di girasole, di soia, di mais, etc.).
Per quanto concerne il rischio tossicologico associato all’ingestione di cibo contaminato da micotossine, in molti paesi sono state emanate apposite leggi che fissano i livelli massimi di contaminazione da aflatossine dei prodotti destinati all’alimentazione umana e animale.
Purtroppo, solo in pochi paesi sono previsti dei limiti anche per le altre micotossine (ocratossina, patulina, zearalenone, DON/deossinivalenolo, fumonisine B1-B2, tossina T2).
E' augurio che tutti i Paesi definiscano i limiti d'assunzione di micotossine nelle derrate e nei derivati agroalimentari affinché possa essere sancita nettamente la loro indubbia pericolosità per la salute umana e animale.
Dario Sgroi
FORUM
ITALIANO DEL CANE DA PASTORE TEDESCO
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