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Relazione. segugio ed ungulati a cura di Giancarlo Bosio - presidente Società Italiana Pro Segugio Negli ultimi decenni si sono verificati sensibili cambiamenti nel panorama faunistico nazionale dovuto anche all’incremento naturale in vaste aree montane del Paese e dell’Appennino toscano di popolazioni di ungulati selvatici che hanno trovato condizioni ambientali idonee all’accrescimento numerico. Le specie selvatiche, in particolare appartenenti alle famiglie dei cervidi e dei bovidi, hanno registrato in tempi brevi un aumento notevole nel territorio regionale tanto da poter ritenere di essere in presenza di sovrappopolazioni che spesso arrecano danni alle colture e all’ambiente. L’abbandono dell’agricoltura montana, legata alla zootecnia e la conseguente conversione dei pascoli in cespugliati boschivi, ha contribuito al miglioramento degli habitat per i cervidi e i bovidi, finendo proprio per condizionare le loro dinamiche riproduttive. In periodi invece di scarsità di nutrizione fornita dal bosco, le popolazioni di ungulati rivolgono spesso la loro ricerca all’esterno, dimostrando l’esistenza di una sorta di correlazione inversa tra la disponibilità delle risorse alimentari reperibili all’interno delle aree boschive e le perdite causate alle colture e alle vegetazioni. I danni quantitativi e qualitativi arrecati all’agricoltura e all’ambiente dipendono, tra l’altro, dalla disposizione territoriale dei campi e dei boschi, dallo sviluppo del perimetro forestale, e, comunque dal numero degli animali che vivono in una determinata area, per i quali vige la necessità di provvedere ad uno stretto monitoraggio. In presenza, infatti, di forte densità di cervi, caprioli e daini si intensificano anche problemi causati dalle brucature invernali ed estive e dai cosiddetti “fregoni”: sia nel periodo della pulitura, sia per marcare il territorio nella stagione riproduttiva, i maschi “fregano” alberi giovani, asportandone la corteccia e provocando la morte delle piante stesse. Il sovrannumero di esemplari comporta danni anche alla sopravvivenza stessa degli altri ungulati: per quanto concerne il daino, ad esempio, specie alloctona considerata dal D.M. 19 aprile 1996 “specie che può costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica”, si registra, ad esempio, in Toscana, in Emilia Romagna ed in Piemonte un’esplosione demografica che sta creando notevoli difficoltà per la convivenza con altri animali selvatici. Una condizione simile è stata riscontrata anche per il capriolo che, in alcune regioni italiane, registra densità di popolazioni assai elevate (oltre 40 capi per chilometro quadrato). Il prelievo con il cane da seguita delle specie elencate, con norme rigide, oltre a reintrodurre una pratica di caccia tipicamente italiana, consente un approccio più naturale alla regolarizzazione e alla gestione degli ungulati selvatici, garantendo un riequilibrio delle popolazioni stesse. L’utilizzazione dei cani nell’esercizio venatorio ha tradizioni antiche anche in Italia in quanto gli studiosi fanno risalire a circa 12.000 anni fa l’addomesticamento dei segugi proprio per l’impiego nelle attività venatorie.
Nelle Valli del Natisone, in Friuli Venezia Giulia, nel Cantone del Giura, in Svizzera, ma anche in altre Nazioni come l’Inghilterra e la Francia, la caccia ai cervidi e bovidi con cani da seguita è una tradizione consolidata che non ha fatto riscontrare alcun tipo di destrutturazione all’ecosistema. E’ pertanto legittimo, ai sensi dell’articolo 19 della legge n.157/92, prevedere una forma di prelievo attraverso la quale sia possibile completare i piani faunistici-venatori, approvati annualmente dalle Province, distribuendoli in maniera omogenea sul territorio, prelevando cioè anche laddove la fitta vegetazione renda impossibile un tiro selettivo a lunga distanza con arma a canna rigata. La proposta di cacciare i cervidi e i bovidi con il cane da seguita consentirebbe l’utilizzazione esclusiva di fucili a canna liscia caricati a palla: una tipologia di prelievo che risulta ormai consolidata.
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