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Comunicare con il
cane
a cura di Paola D'Amico
Tutti parliamo con il nostro cane, ma non è così che lui
ci capisce.
«Il cane mi domanda e non rispondo. Salta, corre pei campi e mi domanda senza parlare e i suoi occhi sono due richieste
umide, due fiamme liquide che interrogano e non rispondo, perché non so, non posso dir nulla». Cosa meglio dei
versi dell'«Ode al cane» di Pablo Neruda può accompagnare la lettura degli scatti di
Paolo Carlini, nel
libro senza parole "Cani padroni" che racconta storie uniche e diverse di complicità e affetto,
d'intimità e giocosità, persino di somiglianza fisica e di comportamenti.
Parliamo con loro, convinti che ci comprendano. Ci fissano con gli occhi tondi e rispondono al nostro bla bla con uno
scodinzolo più energico. Ci danno il cinque, appoggiano complici una zampa sulla nostra, si fanno intendere con un
mugolio o una musata. Anticipano i nostri passi e le intenzioni.
Chiedete ad un amico se parla al suo inseparabile compagno a quattrozampe. «Parliamo, certo. E da come s'agita so che
m'ha capito». Un cane è una creatura che ha mille sfaccettature. È probabile che lui abbia scelto di restare
con l'uomo e non il contrario. Scrisse l'etologo Irenaus Eibl-Eibesfeld che «il cane è l'unico mammifero in
grado di vivere realmente con noi, e non semplicemente di stare con noi». I cani non articolano le parole. Eppure
tra noi e loro è possibile un dialogo, che ripetitività e coerenza possono continuamente migliorare, rendere
perfetto, sicché col tempo basti un colpo d'occhio per intendersi.
I cani comunicano con il corpo, ci osservano, valutano i nostri umori e intenzioni. Leggono il linguaggio del corpo,
spiega l'addestratore gallese Graeme Sims. Linguaggio che ci rende trasparenti, che non mente. Noi tutti inviamo
continuamente messaggi con il corpo, segni forse impercettibili per molti umani ma non per loro. Ci sono due
ingredienti vitali nel dialogo con il proprio cane: coerenza e chiarezza. «Qualcosa che può forse oggettivamente
aiutarci nelle giuste scelte con il nostro animale è la coerenza di comportamenti - spiega l'istruttore
educatore Daniele Mazzini -. Per esempio il no che sia sempre no e che aiuti il nostro amico a quattrozampe a non
soffrire per la frustrazione di ciò che gli è stato negato oggi e concesso ieri». Chiarezza, invece, nel
«vocabolario»: un fischio, un comando vocale, un gesto, segnali ben comprensibili da subito e sempre quelli.
Sono concordi su un punto gli esperti: se qualcosa può rendere zoppicante questo dialogo è «la nostra
incapacità di uscire da noi stessi», precisa Mazzini. Il mondo che abbiamo costruito è su misura per noi, non per
loro. Per parlare con i nostri pet dobbiamo addestrarci a guardare con occhi nuovi. «I loro occhi parlano, ma la
maggior parte degli umani non coglie che, per capirli, occorre mettersi sulla stessa lunghezza d'onda»,
aggiunge Sims. «Guarda la loro espressione e cerca di capire cosa ti vogliono dire i loro occhi», spiegano
all'unisono i due uomini che parlano con i cani.
La «strana coppia», uomo e cane, aggiunge la psicobiologa della Statale di Milano,
Emanuela Prato Previde, è frutto «dell'evoluzione e della domesticazione, fenomeni biologici e culturali che hanno
portato uomini e cani a sviluppare un'intesa speciale, il cui segreto sta nella predisposizione del primo a
intrattenere una comunicazione complessa, basata come la nostra su segnali uditivi e visivi».
«Il sentimento per i cani è lo stesso che nutriamo per i bambini», sosteneva già
Sigmund Freud. E come i bambini,
il cane comprende la «comunicazione referenziale umana, utilizza segnali comunicativi intenzionalmente (postura, uso
dello sguardo, vocalizzi) - continua Prato Previde, autrice con Paola Valsecchi
di uno studio
sull'attaccamento. Le ricerche hanno dimostrato che è sensibile al nostro sguardo, sa che se lo stiamo guardando
possiamo vedere cosa fa, mentre se teniamo gli occhi chiusi, leggiamo o siamo orientati altrove no. Usa lo sguardo per
servirsi di noi e del nostro aiuto per ottenere qualcosa che desidera ma è fuori portata, può usare le nostre
reazioni positive o negative per decidere come comportarsi».
I proprietari di cani tendono a vedere il cane come un membro della famiglia e a trattarlo come un bambino,
possiedono la foto del loro beniamino, gli concedono di dormire sul letto, amano giocare con lui, coccolarlo, ne
cercano il contatto fisico e «gli parlano in motherese - conclude l'esperta -, una modalità di comunicazione
semplificata e melodica tipica del contatto con i piccoli della propria specie e che può essere considerata come una
forma di comunicazione non verbale: veicola emozioni e affettività piuttosto che specifici significati».
Il cane funge anche da specchio che riflette il padrone. E se alla fine si finisse per diventare simili, come accade
tra gli umani? «La trasmissione di stati d'animo attraverso il volto e il corpo - sentenziò, infatti,
l'etologo e primatologo olandese Frans de Waal - è così potente che quando tra due persone avviene su basi
quotidiane esse cominciano letteralmente ad assomigliarsi».
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