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A cosa servono i test genetici? La risposta di un allevatore

test genetici cane

a cura di Mariachiara Coscia

Di recente uno stimato allevatore (di razza diversa dalla mia) è stato preso di mira su FB per aver messo in riproduzione un carrier, cioè un portatore sano, pur avendo informato a dovere e per iscritto i futuri proprietari dei cuccioli. Al di là della vicenda in sé la virulenza degli attacchi telematici nei confronti di questo allevatore mi ha fatto capire quanta confusione ci sia riguardo ai test genetici e all’uso che noi allevatori possiamo farne. E ho immediatamente avvertito.
l’urgenza di spiegare il mio personale punto di vista… il punto di vista di un allevatore con cui certo molti non concorderanno, ma che io mi sento di difendere strenuamente.
La mia idea di fondo è che i test offrano risultati indicativi, che possono fornire utili informazioni a un piano d’allevamento solo e quando vengono considerati come indizi, non come sentenze atte a utilizzare o meno un riproduttore.
Cerco di spiegare questa posizione per punti, in modo analitico, con il mio linguaggio semplice da allevatore (non certo da genetista), nella convinzione che aprire un tavolo di discussione su questi temi sarebbe utile a tutti i cinofili.

  1. i test genetici, come qualsiasi altra pratica d’allevamento, possono essere compromessi da tristi vicende di inciucio cinofilo; voglio dire che se un cagnaro d’élite vuol far figurare un certo cane esente da patologie potrà sempre trovare il veterinario compiacente che certifica che il test è stato eseguito mentre il prelievo viene effettuato su un altro cane già testato (sono noti casi di scambio di lastre per la displasia… figuriamoci se non può succedere la stessa cosa con un test di questo tipo, per il quale a volte è sufficiente un po’ di saliva). Da qui l’amarezza di vedere messi alla gogna allevatori che invece i test li fanno sul serio. E anche l’allarme nel vedere tanti appassionati che affrontano costi altissimi (in termini di soldi e chilometri) per la monta del super mega cane magari di due anni appena compiuti (leggi: senza figli adulti che si possano valutare per salute e tipicità, senza uno storico personale attendibile perché quasi tutte le malattie ereditarie si manifestano dopo i due anni, ma con i suoi bravi test di razza).

  2. nei cani si possono manifestare circa quattrocento malattie genetiche, a cui si sommano quelle che non vengono considerate tali in quanto, pur rilevando una predisposizione familiare, non c’è ad oggi la certezza che si trasmettano a livello genetico (per fare un esempio abbastanza comune, lo cherry eye rientra in questo tipo di patologia). È vero che non tutte queste malattie sono state attestate in tutte le razze, ma è anche vero che di fronte a numeri con due zeri l’incidenza del numero di test disponibile per ogni razza è davvero molto bassa. Questo significa che considerare un cane ‘geneticamente perfetto’ perché è risultato negativo ai test è quanto meno fuorviante.

  3. a corollario del punto precedente va sottolineato che i test NON offrono una mappa completa del DNA. Sono solo fotografie di una piccolissima parte del patrimonio genetico del soggetto in un dato momento. È come se cercassimo di valutare un intero romanzo di cinquecento pagine in una lingua straniera per avere tradotto un paio di righe qua e là.

  4. il DNA non è immutabile nel corso della vita; per esempio se ci fosse una expo cinofila importante nei pressi di Chernobyl è probabile che poi avremmo picchi di malformazioni e un’alta incidenza di malattie ereditarie nella discendenza dei cani iscritti, e questo per più generazioni… perché l’energia nucleare è tra i pochi fattori ambientali che sono stati riconosciuti come sicuri agenti modificatori del DNA. Purtroppo però questo ambito di studio è ancora molto approssimativo: sappiamo che l’ambiente può in diversi modi cambiare il DNA ma non sappiamo esattamente attraverso quali sostanze, in quale lasso di tempo o con quali conseguenze abbiano luogo queste modifiche. Si è capito solo che alcuni soggetti per motivi sconosciuti reagiscono in un dato modo a certi stimoli che risultano innocui per altri. Ne consegue che idealmente un cane risultato esente da una malattia ereditaria potrebbe risultare portatore o svilupparla dopo un soggiorno a Chernobyl… o in altro luogo non altrettanto emblematico ma a lui particolarmente sfavorevole per motivi che non siamo in grado di capire. Naturalmente è un esempio anche il riferimento a luoghi specifici: particolari sostanze presenti in un alimento, in un vaccino, in un prodotto di grooming etc potrebbero cambiare il DNA.

  5. i test consigliati per ogni razza sono quelli che riguardano patologie che si considerano particolarmente presenti in quella razza determinata; ma queste patologie, proprio per il fatto di essere state individuate, spesso prima di essere oggetto di test sono state anche prese in esame dagli allevatori di qualità che hanno fatto del loro meglio per ridurne l’incidenza; ne consegue che quando una malattia arriva ad essere considerata ‘tipica’ della razza il più delle volte è già sotto controllo, almeno nelle linee selezionate. Per esempio nel cocker americano, la mia razza, i test per le cardiopatie (che non sono genetici, ma sono pur sempre test sulla salute che riguardano patologie trasmissibili) non vengono consigliati. Eppure io ho avuto il caso di una femmina fondatrice affetta, e facendo qualche ricerca ho scoperto che nelle ultime generazioni sembra che l’incidenza di questo tipo di problema sia aumentata parecchio. Io da circa tre anni sottopongo i miei riproduttori a test ecocardiografici, e certo si muovono in questo senso anche altri allevatori di qualità. Ma occorrerà ancora molto tempo prima che organismi ufficiali prendano atto di questo cambiamento e inseriscano i test di questo tipo per i cocker americani.

  6. risvolto della medaglia del punto precedente: prima che una patologia sia classificata come presente in modo significativo nella razza… ha tutto il tempo di svilupparsi, soprattutto nelle linee meno selezionate, quelle commerciali, che per necessità purtroppo tendono anche ad essere le più prolifiche.

  7. questo punto è meno analitico degli altri, ma forse per me è il più importante: facciamo finta che lo studio della genetica si sia sviluppato fino a poterci offrire la mappatura completa del DNA di ciascuno dei nostri riproduttori, ripetibile mettiamo una volta l’anno o prima di ogni accoppiamento per escludere la comparsa di qualche problema fino a quel momento nascosto nella deriva genetica. In questo caso potremmo con sicurezza scartare tutti quei soggetti che presentino anomalie. Ma quanti soggetti ci resterebbero? Il loro numero sarebbe sufficiente a garantire la sopravvivenza di tutte le razze che conosciamo?

Sono interrogativi aperti, la mia risposta personale è che l’errore sia insito nel concetto stesso di vita, che non possa esserci selezione se non si accetta anche un margine di rischio.
La vera sfida per me non è escludere il rischio ma conoscerlo il più possibile per cercare di bilanciarlo. Ed è a QUESTO che dovrebbero servire i test genetici.
Un risvolto particolarmente triste è che a pochissimi viene in mente di basare un allevamento di qualità su un numero ristretto di cucciolate.

Se ho un cane bello e testato lo uso da subito il più possibile, cerco di coprire con le monte almeno le spese che sostengo per le sue campagne espositive. Se il soggetto è davvero bello posso anche riuscirci, ma a un prezzo molto alto per la razza, perché è dimostrato che quei cani ‘prezzemolini’, che sono presenti in un numero esorbitante di pedigree, alla fine danno come risultato una discendenza affetta da patologie anche gravi, emerse dalla deriva genetica di quello stesso soggetto proprio per il fatto di essere stato abusato più che usato.
Invece provare un riproduttore a due anni e poi monitorare da vicino come si sviluppano i figli (magari anche i nipoti) sarebbe una mossa certamente fuori mercato, ma che permetterebbe di avere basi solide su cui costruire un piano d’allevamento… sempre che questi figli e nipoti vengano presi come indizi, insieme ai test, per costruire una mappa reale delle possibilità di quel soggetto.
In conclusione, da allevatore sono veramente spaventata dall’uso che si sta facendo dei test.

Come frequentatrice e moderatrice di gruppi cinofili on line mi rendo contro che il più delle volte se ne ha una visione distorta e pericolosa, che va per la maggiore l’equazione “cane testato=cane sano”, a prescindere da tutte le altre considerazioni.

E questo a me non sembra un aiuto all’allevamento di qualità.
Mi sembra un grande, grandissimo rischio.

Mariachiara Coscia

 

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