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Curiosità:
Rin-tin-tin, anche i cani vanno in paradiso...
a cura di Vittorio Zucconi
Un soldato americano trova un pastore tedesco in una
trincea durante la Grande guerra e lo chiama come un pupazzetto francese
Incomincia così la storia e la leggenda di uno dei più grandi eroi di
Hollywood. Ora consacrato in una biografia degna di un divo.
Nacque nel 1913 come pupazzetto di lana e da allora abbaia in eterno, o
almeno da un secolo, che non è l'eternità, ma è già qualcosa. Il pastore
tedesco dalle prodigiose abilità atletiche e dall'inflessibile coraggio, il
cane che sconvolse Hollywood quando vinse un Oscar che poi gli fu negato per
non offendere gli attori umani molto più "cani" di lui, aveva
preso il nome di un pupazzetto portafortuna da otto franchi che le donne e i
bambini francesi regalavano ai loro poilus, i loro uomini spediti a morire
nelle macellerie umane della Prima guerra mondiale: Rin-Tin-Tin. Insieme con
il certificato di adozione che portava nel tascapane e avrebbe portato con sé
tutta la vita per ricordarsi di essere anche lui un trovatello solitario,
l'aviere americano del 135esimo squadrone, Leland L. (Lee) Duncan, teneva
sempre in tasca il pupazzetto di Rin-Tin-Tin che un bambino gli aveva
lanciato quando era sbarcato dalla nave insieme con il contingente yankee
nel 1918. Perché fosse lo charmant fétiche grazie al quale delle bombe e
dei proiettili on se fiche, recitava la filastrocca propiziatoria e
bugiarda: "Con questo bel feticcio, delle bombe me ne infischio".
Ma la promessa dovette apparire vera al soldato quando s'imbatté per caso
in un canile militare tedesco sulla Mosella appena bombardato dal quale una
nidiata di lupacchiottini tremanti ma incolumi, raggrumati attorno a una
cagna famelica e agitata, lo guardava con gli occhi supplicanti e indifesi
dei cuccioli. Era il settembre del 1918, la guerra ormai agli spasmi finali
della sconfitta tedesca. Duncan ne raccolse due, un maschio e una femmina.
Chiamò uno Rin-Tin-Tin e l'altra Nénette, che era la bambolina fidanzata
del pupazzetto. E da quel ménage a' trois fra orfani di uomo e di cane
sarebbe nata una stella del cinema che avrebbe brillato per mezzo secolo. E
ancora non è spenta.
L'ha riaccesa una scrittrice giornalista dello snobbissimo New Yorker, Susan
Orlean, che aveva a proprio credito già vari bestseller e che in questi
giorni ha pubblicato la prima biografia ufficiale, tra fatti e leggende, di
questo animale attore che per tre generazioni, dalla prima umiliante
particina nella pelliccia di un cane da slitta quale certamente un pastore
tedesco non è, nel 1922 accreditato nei titoli con il nome sbagliato di Rin
Tan, avrebbe poi prodotto ventidue feature film, lungometraggi.
In più di dieci anni di carriera, Rinty, come alla fine sarebbe stato
conosciuto e chiamato dai colleghi umani prima di andare in pensione come
istruttore della Croce Rossa, avrebbe salvato donne e bambini, cavalleggeri
in divisa blu dagli allora sanguinari "musi rossi" Comanche e
minatori sepolti vivi. Ma avrebbe soprattutto salvato dalla morte lo Studio
dei fratelli Warner, la Warner Brothers, che il successo immenso delle
avventure di Rinty strappò alla bancarotta.
Di lui si disse che fosse morto dolcemente da grande divo sul prato della
casa di colui che lo aveva salvato in trincea (Nénette, la sorella, si era
arresa molto giovane a una polmonite) tra le braccia della bellissima e
biondissima Jean Harlow che ne strinse il corpo nero e argenteo fino
all'ultimo respiro. Ma se la morte legale del fiero lupo con il nome da
pupazzetto porta la data del 1932, esattamente ottant'anni fa, non si deve
neppure pronunciare quella parola a Susan Orlean e agli eredi della moglie
di Duncan, che ancora litigano per i diritti residui, anche se lei si stancò
di essere sempre seconda al cane e lo lasciò per seguire una celebre
cantante, Helen Reddy, nelle tournée.
Rin-Tin-Tin è immortale. Un po' appassito e svanito nella nebbia delle
generazioni che lo hanno venerato come spettatori prima al cinema e poi in
televisione con i suoi serial Le avventure di Rin-Tin-Tin per tutti gli anni
Cinquanta, è ancora vivo sul sito a lui dedicato da una signora texana che
ne ha coltivato il dna e ha prodotto una lunga sequela di cloni naturali.
Ovviamente - e sperando che la Orlean, fanatica animalista che tiene in casa
un cane di oscuro pedigree, otto gatti, dieci galline, quattro anatre,
cinque uccelli in gabbia e un acquario brulicante di pescetti tropicali, non
ci legga - anche Rinty è stato in realtà molti cani diversi, tra
discendenti diretti (l'ultimo è Rin-Tin-Tin VIII, roba da far invidia ai
Borboni e ai Savoia) e i venti animali, tutti stupendi, utilizzati nei film
e nei telefilm.
Né furono tutti cani straordinari, come era il fondatore della dinastia che
attirò l'occhio del produttore Darryl Zanuck quando un cameraman che aveva
creato un cinepresa per la slow motion gli mostrò la sequenza di Rinty che
saltava agevolmente una siepe alta quasi quattro metri. Il primogenito ed
erede della corona, Rin-Tin-Tin II, ebbe il malinconico onore di essere
citato dal Los Angeles Times quando permise a un ladro di svaligiare di
notte la casa di Leslie Duncan, continuando a dormire tranquillamente.
"Casa svaligiata mentre eroico cane dorme" titolarono
carognescamente i redattori del Times.
Ma la presa che questo cane originariamente non bellissimo, perché ai
militari del Kaiser che li allevavano interessava più la forza e la
resistenza che la bellezza, e via via perfezionato, esercitò
sull'immaginazione, sul cuore, sulle emozioni di bambini americani e non
americani, non ha conosciuto rivali. Neppure Lassie, la
"ragazzina" (questo significa il suo nome) che pure fu la sua più
accanita rivale, lo scalzò da quel trono che nel 1929 gli valse quell'Oscar
poi frettolosamente ritirato. Dozzine di altri animali, come lo scimpanzé
di Tarzan, Cita, scomparso pochi giorni or sono all'improbabile età di
ottant'anni, come Zanna Bianca, Fortecuore, Klondike, Kazan il Meraviglioso,
Tuono e immancabilmente Fulmine, tentarono di scalzarlo dalla vetta di
quelle colline dalle quali ogni suo film e telefilm terminava, con la
silhouette stagliata contro il cielo. La stessa autrice della biografia, la
Orlean, ha raccontato sul New Yorker lo scorso agosto di non sapere
esattamente che cosa l'avesse spinta a consumare sette anni della propria
vita per ricostruire, latrato per latrato, la storia del cane chiamato come
un pupazzetto. Non lo aveva mai neppure visto al cinema né in tv, negli
anni Cinquanta quando era appena nata, ma ricordava una statuetta di quel
cane con la lingua penzoloni, alta dieci centimetri e che ornava la
scrivania di un nonno gelido e distante con i bambini, ma devotissimo agli
animali. È stato guardando un documentario in tv, nel quale alcune vecchie
sequenze con Rinty erano inserite, che l'Orlean ha "sentito una scossa
dentro" e si è lanciata sulle orme di quelle zampe.
Non arriva fino ad affermare che Rin-Tin-Tin sia immortale, che il suo
spirito viva reincarnato negli almeno sei uomini e nell'allevatrice che
giurano di essere la versione bipede del cane e forse potrebbero giovarsi di
qualche affettuosa consulenza terapeutica. Ma Susan viaggia negli studi
delle televisioni per promuovere il libro, e insinuare che sì, c'è
qualcosa in quell'animale strappato dal destino alla morte in guerra che va
oltre il divismo, la solita antropomorfizzazione degli animali nelle fiabe e
nel cinema che Disney avrebbe portato al trionfo di sorci parlanti e paperi
petulanti, la nostalgia per l'America innocente dei "buoni" contro
i "cattivi", o il rancore per un nonno freddo e distante. Qualcosa
che soltanto chi ha accarezzato un cane molto malato ma ancora con gli occhi
pieni di fiducia versi noi umani, mentre il veterinario lo "metteva a
dormire", può capire.
Fonte: www.repubblica.it
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