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Il canile di Torino
( immagine: www.comune.torino.it
)
La fondazione del primo canile torinese fu la diretta conseguenza dell'introduzione della tassa sui cani: occorreva infatti una struttura che fornisse ospitalità ai cani catturati per consentirne la restituzione ai legittimi proprietari previo rimborso spese e verifica dell'avvenuto pagamento della tassa annuale.
Oltre a questa funzione di custodia, l'istituto doveva svolgere altre tre attività fondamentali: vendere i cani ai privati cittadini che ne facevano richiesta, cedere gli animali ai laboratori per consentire esperimenti scientifici e infine coadiuvare la lotta all'idrofobia.
Nel periodo iniziale la struttura del canile era costituita da una semplice tettoia; la nascita vera e propria del primo canile municipale avvenne in Borgo Dora il 16 luglio
1852. Il modesto regolamento del canile lasciava trasparire l'immagine di una società antropocentrica, in cui il rapporto fra uomo e animale era regolato esclusivamente dall'utilità materiale che il primo poteva trarre dal secondo. In questa fase storica gli animali non erano garantiti da diritti di sorta, non sussistevano leggi o regolamenti a loro vantaggio, non esistevano istituti che li tutelassero.
L'unica norma relativa alle cure da prestare ai cani ricoverati nel canile riportata nelle istruzioni impartite al custode, riguardava la somministrazione della "quantità di pane e acqua e paglia necessaria" al mantenimento in vita; nessun altro accenno umanitario era riservato ai cani che, se non reclamati dal proprietario o rivenduti, dopo tre giorni venivano soppressi a bastonate.
La struttura stessa del canile, un "casotto" situato nel cortile di Casa Rizzetti in viale Santa Barbara 1 (attuale corso Regina Margherita angolo piazza Emanuele Filiberto) non lasciava troppi dubbi circa le precarie condizioni igieniche e l'insufficiente vivibilità offerta agli animali ospitati, così come non consentiva interpretazioni ottimistiche la figura preposta alla loro cura, il portinaio del macello delle bovine. La situazione restò invariata per molti anni, fra le lamentele degli abitanti delle case adiacenti al canile disturbati dai latrati, e le discussioni in Consiglio delegato sull'opportunità di ampliare gli spazi della struttura risultata fin da subito inadeguata in rapporto all'elevato numero di cani catturati.
Nel mese di dicembre del 1871 la Giunta municipale deliberò la demolizione di Casa Rizzetti col conseguente trasloco del canile presso il foro Boario.
Le condizioni dei cani ricoverati sostanzialmente non mutarono, alcuni cambiamenti viceversa riguardarono i sistemi di soppressione passati dalle bastonate, all'impiccagione, all'avvelenamento. Nonostante la palese crudezza, il sistema dell'intossicazione a mezzo di bocconi avvelenati indicava l'intenzione delle autorità comunali di mitigare le sofferenze degli animali passando da tecniche brutali e prive di costi, a un metodo meno cruento comportante una seppur minima spesa.
La campagna contro il randagismo assunse l'aspetto di una vera e propria crociata: nel periodo 1858-1920 complessivamente nel canile municipale e negli istituti scientifici furono ammazzati 20.782 cani, mediamente 424 all'anno; a questi si aggiungano i 9.931 soppressi nel contado, cifra riferibile ai soli 14 anni in cui compaiono le statistiche, con una media annuale pari a 709. Si può dunque ragionevolmente supporre che nel periodo considerato i cani uccisi a seguito dei provvedimenti adottati delle autorità comunali assommassero ad oltre 1.100 all'anno.
Anteriormente al 1858 non esistono dati ufficiali sui cani eliminati, possiamo comunque immaginare una situazione ancor più drammatica rispetto al periodo successivo. Lo dimostra una nota del giugno 1851, pervenuta al Consiglio delegato, che attesta la soppressione di 1.049 cani in soli 50 giorni. La situazione mutò nel 1929, anno in cui la Società Protettrice degli Animali edificò il proprio "canile sociale" intitolato al fondatore dell'Ente, Timoteo
Riboli.
Così a Torino erano presenti due canili: uno gestito dal comune, presso il mercato del bestiame, nel quale i cani non affidati, vecchi o cagionevoli venivano soppressi in una camera di asfissia costata 6800 lire e appositamente progettata per lenire le loro sofferenze finali; l'altro di proprietà della Società Protettrice degli Animali che ospitava, secondo le disponibilità del momento, soprattutto i cani non ricollocati dal canile municipale con lo scopo di sottrarne il maggior numero possibile a morte certa.
( immagine: www.comune.torino.it
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