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I principi di
gestione e di controllo dell'igiene
Tutela della salute nella produzione e commercializzazione degli alimenti
La tutela della salute attraverso la prevenzione igienica nella produzione e nella commercializzazione degli alimenti costituisce una delle finalità più importanti delle organizzazioni statali moderne. In realtà, questo tipo di tutela si esprime in forme rudimentali già presso comunità sociali primitive, dove talvolta viene trattata anche con categorie religiose. Oggi, il rapporto con l'alimento, la fiducia o il timore che può determinare, sono oggetto di attenzione prioritaria, costituendo un fattore determinante di sicurezza sociale. Non a caso, le tecnologie alimentari, le modalità produttive e commerciali sono oggetto di specifiche regolamentazioni.
Normativa nazionale ed internazionale
In ambito nazionale italiano, il controllo igienico degli alimenti l'era comunitaria è stata affrontata mantenendo vigente una base normativa generale, ancor oggi valida, costituita dalla Legge 30 Aprile 1962 n. 283. Con essa il nostro paese aveva ridefinito i principi generali in materia di igiene della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande. Il relativo controllo viene assegnato alla autorità sanitaria, che ha il potere di svolgere la vigilanza in qualunque fase della produzione e del commercio, mediante ispezione ed accertamenti analitici di laboratorio. In forza di tali norme, la tutela della salute pubblica viene affidata all'efficacia di accertamenti su prodotti e processi di produzione e distribuzione, il cui giudizio può prescindere dalle fasi temporalmente precedenti e successive al momento dell'accertamento. Al di fuori delle procedure autorizzative, all'autorità preposta è richiesto di giudicare la conformità ai requisiti e di rilevare le eventuali irregolarità configurabili come illeciti sanzionati.
A tale livello di controllo degli alimenti (sporadico e casuale) prescritto dalla "Legge Quadro", si affiancano metodologie di controllo con caratteristiche di sistematicità e continuità, applicate alle fasi produttive con particolari rischi sanitari. La produzione degli alimenti di origine animale infatti, in ragione dei rischi igienico sanitari ad essa connessi, viene sottoposta ad un controllo proporzionalmente più intenso e continuo, sia quando lo prevedono prescrizioni di "vigilanza programmata", sia in alcuni casi speciali, quando è previsto un "controllo sistematico ed obbligatorio" da parte del veterinario incaricato. Questo tipo di controllo viene prescritto per le carni fresche. Già il Regio Decreto 20.12.1928 (Regolamento Igienico-Sanitario delle Carni), prevede l'obbligo di sottoporre gli animali da macello e le carni a visita ispettiva. L'esito degli accertamenti, effettuati "in maniera metodica, accurata e minuziosa", deve condurre il sanitario ad emettere giudizio di idoneità al consumo o a destinazioni diverse dal consumo umano, per ogni animale macellato. In talune circostanze veniva riconosciuta anche la possibilità di destinare le carni ad una vendita e consumo condizionato (vedi istituto della bassa macelleria).
Indipendentemente dal diverso profilo normativo cui sottende il controllo, sia quando si realizzi in fase di "vigilanza", con il fine di costatare e reprimere gli illeciti, sia quando avvenga in forma "ispettiva" al macello, con lo scopo di accertare l'idoneità sanitaria al commercio delle carni, per i riferimenti normativi nazionali, si andava a caratterizzare per un atto di accertamento effettuato sul momento, per così dire "hic et nunc", sia pure con l'ausilio, se del caso, di tutte le metodologie diagnostiche disponibili.
Questo sistema di controllo, a cui viene riconosciuto l'indiscutibile merito di aver condotto i rischi alimentari a dimensioni contenute, inizia a manifestare segni di insufficienza tecnica ed operativa, sia per l'impiego delle moderne tecnologie produttive, che per il sopraggiungere di problematiche sanitarie (es. agenti di tossinfezioni alimentari, contaminanti zootecnici e ambientali) la cui prevenzione non è gestibile in maniera tradizionale, senza estendere spazialmente su tutta la filiera le opportunità di controllo ed intervento. Inoltre, la maggiore attenzione al capitolo di spesa socio-sanitaria, unita alla oggettiva necessità di acquisire tutti i dati utili al momento dell'accertamento per emettere un giudizio diagnostico sicuro e discriminante, con i tempi tecnici a disposizione, hanno spinto verso la realizzazione di forme di ottimizzazione delle risorse e degli strumenti del controllo
(Bellani).
La libera circolazione delle merci nel territorio dell'Unione europea ha accentuato l'esigenza di armonizzare dal punto di vista normativo i requisiti igienico-sanitari dei prodotti alimentari e dei processi produttivi. Nelle istituzioni comunitarie questo obiettivo ha assunto un ruolo centrale, come testimonia la gran messe di norme emanate: a partire dalla Direttiva n. 2645 del 23/10/1962 in tema di sostanze coloranti, annoveriamo oltre 765 testi normativi, giurisprudenziali ed interpretativi.
Parallelamente alle disposizioni di natura igienico-sanitaria, sono state ridefinite anche le prescrizioni su etichettatura, pubblicità e presentazione commerciale dei prodotti alimentari. Ambedue i beni giuridici, tutela della salute pubblica e tutela della lealtà commerciale, fanno riferimento a norme comuni, istituenti strumenti operativi di vigilanza e controllo.
Nato quindi dal confronto fra le diverse filosofie dei paesi membri, l'attuale modello europeo di tutela del consumatore si è andato progressivamente a delineare con un'evoluzione che, nel corso del tempo, ha coinvolto non solo gli strumenti tecnico-legali ed igienico-sanitari, ma anche gli stessi obiettivi.
Gli atti comunitari hanno riformato sostanzialmente le basi normative nazionali sull'igiene degli alimenti e sui relativi controlli. Gli elementi evolutivi sono stati recepiti dalle Autorità comunitarie che le hanno tradotte negli atti normativi. Nel campo della "vigilanza" sono stati adottati piani di programmazione e razionalizzazione degli interventi (Direttiva 86/468/CEE, PNR, Direttiva 92/117/CEE, DL 123/93). Nell'ambito della visita "ispettiva" al macello, il veterinario ufficiale ha l'obbligo di emettere il proprio giudizio sulla base di una visita ante-mortem di rinnovata valenza, in molti casi svolta prevalentemente in allevamento (DPR 503/82, DPR 559/92 DL 286/94 mac. spec. urg.). Anche l'esecuzione stessa della visita sugli animali e sulle carni subisce un cambiamento rivoluzionario: il veterinario può far partecipare all'ispezione anche personale ausiliario "laico", riconosciuto competente, opportunamente distribuito lungo la catena di macellazione (DPR 183/1988, DL 286/1994, ecc.).
In questo nuovo contesto, il controllo cessa in realtà di essere "puntiforme e disperso" inserendosi in un sistema di prevenzione rivolto a tutta la filiera produttiva. L'area della prevenzione è diventata un segmento dinamico-produttivo in cui il controllo deve possedere gli elementi critici per il livello igienico-sanitario dell'alimento, senza alcuna soluzione di continuità.
La filosofia del controllo sanitario passa dalla centralità di procedure ispettive tradizionali che tendevano a concentrare l'attenzione sul controllo di conformità del prodotto finito, fornendo una informazione di tipo retrospettivo, ad un controllo dell'intero processo produttivo, in cui ampie sono le opportunità di effettuare interventi migliorativi a monte lungo l'intera filiera.
L'aggiornamento dei fini e delle specifiche del controllo hanno richiesto l'adozione di strumenti innovativi. Fra essi, sicuramente il più dibattuto, sul piano della valenza tecnica e legale esprimibile, è il controllo eseguito da personale non ufficiale, facente capo a forme di responsabilizzazione del privato. A questo tipo di garanzia supplementare richiesta al produttore è stato attribuito il termine di "autocontrollo".
Fra la seconda metà degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, l'istituto dell'autocontrollo è divenuto obbligatorio nei vari settori della produzione degli alimenti di origine animale - dalle carni fresche ai prodotti a base di carne; dal latte e derivati ai molluschi, ai prodotti della pesca e agli ovoprodotti - con le c.d. direttive settoriali.
Infine, l'Unione europea ha adottato la direttiva 93/43/CE, che essendo norma quadro generale in materia di tutela igienico-sanitaria dei prodotti alimentari e delle bevande, prescrive l'applicazione dell'autocontrollo per ogni attività di produzione o vendita di alimenti.
La configurazione normativa prevede che l'autorità preposta allo svolgimento del "controllo ufficiale" valuti il sistema di "autocontrollo" adottato dall'azienda come strumento di accertamento e minimizzazione dei rischi sanitari.
Queste nuove funzioni aziendali, non sempre di facile ed immediato inserimento per molte realtà produttive e commerciali a conduzione artigianale, oltre rappresentare uno strumento di controllo continuo "in linea", offrono l'opportunità di far assimilare all'azienda la consapevolezza dei rischi igienici e commerciali e dei relativi mezzi di prevenzione. Con il controllo delle caratteristiche igienico-sanitarie dei propri prodotti l'azienda può attivare i mezzi per ottimizzare la "qualità" dei beni venduti, riducendo la frequenza degli scarti e dei declassamenti, stabilizzando i costi di produzione programmati.
Trovandosi ad operare nella comune finalità dei compiti assegnati, orientati al conseguimento dei livelli di massima prevenzione, viene riconosciuto all'applicazione delle procedure di autocontrollo il merito di favorire l'instaurarsi di rapporti di lealtà e collaborazione fra imprenditore alimentare e l'organo pubblico controllore. Tutto questo nella piena distinzione dei ruoli istituzionali, che richiedono particolare impegno tecnico-professionale per la verifica delle procedure e degli accertamenti svolti dal privato, che comunque non possono assolutamente sostituirsi ai previsti compiti ufficiali di controllo e di vigilanza.
Enti di referenza tecnico-scientifica
In Italia, il controllo igienico-sanitario sulla produzione e sulla commercializzazione degli alimenti è gestito dal ministero della Sanità. E' in questo contesto che troviamo le referenze tecnico-giuridiche. Tale competenza attualmente prevede un importante momento di confronto e produzione legislativa a livello comunitario (Parlamento e Commissione).
Sul piano internazionale l'autorità scientifica di maggiore rilievo è sicuramente rappresentata dalla Commissione del Codex Alimentarius. Questa Autorità è stata fondata nel 1961 in seno al Food and Agriculture Organization (FAO). Dal 1962 è stata incaricata di sviluppare il programma sulla definizione di standards per gli alimenti frutto della collaborazione fra FAO e Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO). L'obbiettivo principale delle attività del Codex è quello di proteggere la salute dei consumatori e di favorire l'applicazione di pratiche igieniche nel commercio degli alimenti. La Commissione Codex Alimentarius è quindi un ente intergovernativo, composto da 158 membri (al 31/08/1997). E' cura del la Commissione Codex Alimentarius la realizzazione di una raccolta di standards, norme pratiche e altre raccomandazioni che prendono il nome di Codex Alimentarius. Fra gli scopi dell'attività della Commissione c'è quello di risolvere eventuali problematiche legate al controllo igienico degli alimenti che costituiscono impedimenti al libero mercato. Le risoluzioni del Codex Alimentarius costituiscono le basi tecniche sulle quali le Autorità Internazionali che regolano i commerci (World Trade Organization) e i singoli governi realizzano autonomamente gli strumenti normativi.
Agenti e meccanismi di alterazione delle matrici alimentari
LE ALTERAZIONI DEGLI ALIMENTI: Modificazione dei caratteri organolettici
1. Processi alterativi di tipo fisico-chimico
Es.: variazioni di consistenza, variazioni di contenuto idrico, deformazioni, imbrunimento non enzimatico, irrancidimento ossidativo.
2. Processi alterativi di tipo biologico
Es.: alterazioni prodotte da microrganismi e da enzimi autoctoni o esogeni.
Imbrunimento non Enzimatico
E' una alterazione di tipo chimico. Riguarda un insieme assai complesso di reazioni che portano alla formazione di pigmenti bruni o neri e a modificazioni dell'odore o del sapore.
Le reazioni di imbrunimento necessitano di molta energia, ed è per questo che il più delle volte avvengono durante i trattamenti termici.
ALTERAZIONI A CARICO DEI LIPIDI
Alcuni richiami di chimica. Dal punto di vista nutrizionale, possiamo classificare i lipidi in lipidi di deposito o trigliceridi (98%), che hanno una funzione prevalentemente energetica, e lipidi cellulari (2%), rappresentati da fosfolipidi, glicolipidi e colesterolo, che svolgono una funzione prevalentemente strutturale. Dal punto di vista chimico, esistono numerose classificazioni. Una delle più semplici è quella che li suddivide in:
a) lipidi coplessi o saponificabili
gliceridi; fosfolipidi; glicolipidi; cere; steridi.
b) lipidi semplici o non saponificabili
terpeni; steroidi; prostaglandine.
La componente lipidica dei substrati alimentari è prevalentemente costituita da trigliceridi (98-99%). Il resto è rappresentato da piccole quantità di fosfolipidi e lipidi insaponificabili.
I componenti fondamentali dei lipidi complessi o saponificabili sono rappresentati dagli acidi grassi. Ai fini di molte proprietà del grasso, ivi comprese quelle conservative, riveste particolare rilievo la distinzione fra gli acidi grassi saturi e acidi grassi insaturi. I primi si caratterizzano per presentare solo legami semplici" -C-C-C"; i secondi hanno uno o più doppi legami "-C=C-C".
IDROLISI O INACIDIMENTO
L'alterazione è dovuta alla presenza di acqua nell'alimento grasso, all'esposizione alla luce e all'azione catalitica di un enzima, la lipasi. Questo enzima idrolitico, catalizzante la scissione nei trigliceridi dei legami estere fra glicerolo e acidi grassi, può derivare direttamente dal substrato alimentare (latte, carni ecc.) oppure essere di origine microbica La reazione conduce alla liberazione di glicerolo e acidi grassi: determina quindi un aumento di acidità dell'alimento. Nei prodotti lattiero-caseari, l'azione enzimatica delle lipasi porta alla liberazione di acidi grassi a catena corta (C4-C10) che sono volatili e conferiscono ai grassi un odore di rancido (simile all'odore di capra). Il burro appena prodotto presenta circa lo 0,14% di acidità libera, mentre un burro con un lieve irrancidimento idrolitico, nel quale si riesce già a percepire l'odore alterato, ha solamente lo 0,50% di acidità libera . La conservazione a bassa temperatura non preserva nei confronti dell'inacidimento, dal momento che le lipasi sono attive anche a 0° C.
Le misure preventive sono sintetizzabili in:
1. abbattimento della carica microbica contaminante;
2. nei prodotti lattierocaseari limitare quanto più possibile la rottura della membrana dei globuli (non è possibile nella burrificazione) .
3. Distruzione degli enzimi idrolitici, mediante pastorizzazione: le lipasi di origine microbica sono termosensibili e vengono completamente inattivate nel processo di pastorizzazione della crema (burro).
IRRANCIDIMENTO CHETONICO
È un'alterazione di tipo enzimatico, causata dalle b-ossidasi di origine microbica (batteri, lieviti, muffe, in particolare Penicillium glaucum e Aspergillus niger). Questo irrancidimento può essere evitato con l'aggiunta di antimicrobici e con un'accurata igiene. In alcune produzioni casearie rappresenta una fase produttiva desiderata (gorgonzola, roquefort) ove contribuisce a conferire l'aroma tipico.
IRRANCIDIMENTO OSSIDATIVO
L'irrancidimento ossidativo è l'alterazione dei grassi di maggiore importanza. Essa si caratterizza per l'assorbimento di ossigeno da parte degli acidi grassi, a cui consegue la produzione di composti che alterano le caratteristiche organolettiche dell'alimento (sapori anormali, odori anormali, colori anormali).
L'ossidazione ha comunque la capacità in via preliminare di neutralizzare sostanze aromatiche di pregio (es. vanillina), riducendo drasticamente la qualità dell'alimento.
Sul piano nutrizionale, il processo di ossidazione conduce ad una riduzione degli acidi grassi insaturi e alla denaturazione di vitamine, quali la A e la K.
Fra i prodotti terminali dell'irrancidimento ossidativo, alcuni svolgono azione irritante sulle mucose gastroenteriche, da cui deriva uno specifico potere patogeno acuto. Fra gli alimenti coinvolti in episodi di gastroenteriti da irrancidimento troviamo prodotti da forno ad alto contenuto lipidico (biscotti).
La reazione di ossidazione è promossa dalla luce, dal calore, da tracce di metalli (Fe, Cu, Co, Ni, Mn).
L'irrancidimento ossidativo si svolge seguendo l'andamento caratteristico delle reazioni di tipo radicalico, secondo tre fasi: "induzione", "propagazione" e "terminazione".
La fase di "induzione" consiste nella formazione di un radicale alchilico estremamente reattivo, che in presenza di ossigeno origina il corrispondente radicale idroperossi. Quest'ultimo dà luogo alla specie chimica neutra idroperossido, più un nuovo radicale; la reazione quindi, una volta innescata, procede a catena (fase di "propagazione).
La fase di terminazione avviene quando tutti i radicali, in seguito alle reciproche collisioni, si trasformano in specie neutre: idrocarburi, esteri, aldeidi, chetoni, alcoli, acidi, etc., molti dei quali volatili e responsabili dello sgradevole odore di rancido dei grassi ossidati.
Alla frazione volatile sopra citata appartengono: composti carbonilici, derivati furanici, idrocarburi volatili.
Primi tra tutti per importanza i composti carbonilici, quali aldeidi e chetoni mentre i derivati furanici, gli idrocarburi volatili (alcani, alcheni ed alcoli), ricoprono un ruolo minore.
Gli stessi prodotti terminali dell'irrancidimento ossidativo, oltre a concorrere all'alterazione del sapore e dell'odore, portano alla comparsa di colorazioni anomale della porzione edibile di questi prodotti. Nelle alterazioni cromatiche può giocare un ruolo importante il processo chimico dell'imbrunimento non enzimatico. I composti carbonilici infatti si coniugano con le ammine, andando a realizzare nuovi composti che conferiscono il tipico colore bruno.
Fra i prodotti terminali gioca un ruolo analitico fondamentale l'aldeide
malonica.
FATTORI CAUSALI:
1. Contenuto lipidico quali-quantitativo del substrato
2. Presenza dell'ossigeno
3. Temperatura
4. aw (vedi mappa di stabilità)
5. Agenti pro-ossidanti
6. Agenti anti-ossidanti
Contenuto lipidico quali-quantitativo del substrato.
Presenza dell'ossigeno. La presenza di ossigeno è necessaria per questo tipo d'ossidazione ed il processo è catalizzato dalle alte temperature, dalla radiazione luminosa, dalla presenza di ioni metallici (Fe, Cu, Co, Ni, Mn); può essere inoltre favorito dalla presenza di sostanze proossidanti e dalla assenza di quelle antiossidanti.
AGENTI RESPONSABILI: enzimi; microrganismi; insetti
FATTORI CONDIZIONANTI:
I fattori condizionanti:
curva di crescita microbica
Temperatura
Potenziale redox: se un elemento è ossidante il potenziale redox sarà positivo; se un elemento è riducente il suo potenziale redox sarà negativo. È un parametro che si misura in mV. Il potenziale di un substrato alimentare è la risultante del potere ossidante e riducente dei costituenti chimici.
Es.: carne appena macellata = potenziale redox + , carne dopo la frollatura = potenziale redox - (condizioni di anaerobiosi), carne macinata = potenziale redox + (condizionata dalla maggiore esposizione all' ossigeno)
Ossigeno ê m.o. aerobi obbligati
m.o. anaerobi obbligati
m.o. anaerobi facoltativi
pH ê Piccole variazioni di pH determinano cambiamenti notevoli della flora microbica.
un pH < di 4,5 garantisce nei confronti del rischio da Clostridium Botulinum.
Aw ê è l'acqua libera utilizzata dai m.o.
Aw = pressione i vapore del substrato/pressione di vapore dell'acqua distillata
Questo parametro si misura mediante una scala di valori che vanno da 0 a 1: la maggior parte dei prodotti alimentari hanno un Aw > 0,90
- prodotti freschi: Aw >0.98
- carne fresca: 0,98<Aw>0,99
l'Aw può essere condizionata in due modi:
- meno acqua
- + soluti (zucchero, sale …)
Sostanze inibenti la crescita microbica
Esistono sostanze naturalmente inibenti la crescita dei m.o.
Sulla carne bisogna ricercare tramite test di laboratorio i residui di antibiotici che possono essere pericolosi per la salute dell'uomo. Anche alcune spezie possono avere attività batteriostatica e/o battericida (aglio, cumino, salvia …)
Ci sono gli additivi antimicrobici come i sorbati (efficaci per le muffe), nitriti e nitrati (presentano una discreta attività per inibire i germi anaerobi).
Antagonismo microbico
Ogni germe combatte con altri per la sopravvivenza. Tale fenomeno concorre a limitare la proliferazione di agenti patogeni in alimenti ricchi di Lattobacilli (es. prodotti di salumeria ê abbassano il pH, producono sostanze antibatteriche quali batteriocine, producono perossido di idrogeno e sottraggono sostanze nutritive ad altri germi).
Azioni combinate
Ci sono poi fattori combinati, con effetti additivi o sinergici. es. pH e Aw hanno effetti sinergici.
ALTERAZIONI D'ORIGINE BIOLOGICA
GENESI:
attività di enzimi autoctoni
presenza fisica dei microrganismi, es. slime
attività metabolica dei microrganismi
FENOMENOLOGIA:
alterazione dell'odore: produzione di sostanze volatili percepite come sgradevoli
alterazione del colore o dell'aspetto
1. sviluppo di germi cromogeni
2. produzione di metaboliti cromogeni, direttamente (melanina) o indirettamente (acqua ossigenata, idrogeno solforato);
3. produzione di sostanze complesse (polisaccaridi) visibili come filamentosità;
ALTERAZIONE DELLA CONSISTENZA
CONSERVABILITÀ NEL TEMPO DEI PRODOTTI ALIMENTARI (Vita commerciale del prodotto - shelf life o vita di scaffale)
Garanzia sulla sicurezza e sulla salubrità nel tempo.
Esigenza di avere un periodo di conservazione sufficiente a dare opportunità di vendita e di consumo
Necessità di offrire una garanzia affidabile al consumatore
Shelf life ê rappresenta la vita di scaffale ed è un parametro stabilito dal tecnologo, il quale con questa stabilirà la data di scadenza o il termine minimo di conservazione.
Data di scadenza (use by) ê termine entro il quale il prodotto alimentare è edibile; oltre questa il prodotto non è né commerciabile, né idoneo al consumo. È obbligatoria per gli alimenti molto deteriorabili.
Termine minimo di conservazione (best before) ê è indicato negli alimenti meno deteriorabili, ed indica il tempo entro il quale il produttore garantisce la totale integrità del prodotto. Dopo questa scadenza il prodotto può aver perso qualche caratteristica ma è ancora destinabile al consumo umano, anche se deve essere tolto dal commercio.
Vincoli legali. Chi produce un alimento deve poterne garantire le caratteristiche per un periodo di tempo. Da una parte c'è l'esigenza di avere un periodo di conservazione sufficiente a dare opportunità di vendita, dall'altra la necessità di offrire una garanzia affidabile al consumatore. L'azienda dovrà quindi stabilire la vita commerciale ed in base a questo stabilire il limite di commerciabilità. In linea di massima, chi produce tende a ridurre quanto più possibile i termini di garanzia sul prodotto; chi vende, per contro, preferisce trattare alimenti con lunghi periodi di conservazione. Un prodotto con un periodo di conservazione lungo permette all'azienda tempi ampi per la distribuzione e per la vendita.
I limiti di commerciabilità in alcuni alimenti sono stabiliti per legge (latte). Per tutti gli altri prodotti alimentari i limite di commerciabilità è deciso dal produttore, che con delle prove determinerà la vita media del prodotto nelle condizioni ambientali di commercializzazione. (D.L. 109-92)
Variabili indipendenti: modalità di produzione; materie prime, ingredienti; condizioni di lavorazione, parametri di processo; stato fisico del prodotto; composizione chimica del prodotto; profilo fisico-chimico; tipologia di confezionamento; modalità di conservazione.
Valutazione dell'alterazione:
quadro del fenomeno alterativo ed estensione; come e chi ha identificato l'alterazione; tipologia del prodotto; data di produzione e data di scadenza; condizioni di conservazione
Criteri costruttivi ed organizzativi dei laboratori di produzione
Igiene delle strutture e delle lavorazioni nei laboratori di produzione e deposito di prodotti alimentari:
· REQUISITI RELATIVI ALLA LOCALIZZAZIONE AMBIENTALE
· REQUISITI DELLE STRUTTURE EDILIZIE
· IGIENE DI STRUTTURE ED ATTREZZATURE
· IGIENE DEGLI OPERATORI
· IGIENE DELLE LAVORAZIONI
localizzazione ambientale: La localizzazione dello stabilimento di produzione deve soddisfare due principi:
LE CONDIZIONI AMBIENTALI NON DEVONO PREGIUDICARE L'IGIENE DEI PRODOTTI ALIMENTARI;
L'INSEDIAMENTO PRODUTTIVO NON DEVE PREGIUDICARE L'IGIENE AMBIENTALE (CONFORMITÀ URBANISTICA)
PRINCIPIO: Lo stabilimento non deve essere collocato in aree in cui:
a) ci sono sorgenti di contaminazione;
b) è problematico l'adozione efficace di strumenti e procedure di prevenzione nei riguardi di agenti in grado di pregiudicare la sicurezza o l'accettabilità del prodotto alimentare.
APPLICAZIONE: Non è idonea la localizzazione in aree:
a) in cui il livello di polluzione ambientale e di attività industriali pone grave pregiudizio per la contaminazione dei prodotti alimentari;
b) soggette ad inondazioni ed alluvioni, non sottoposte a bonifica;
c) che favoriscono l'infestazione di animali estranei;
d) in cui è resa complicata la rimozione dei rifiuti solidi e liquidi.
La localizzazione dello stabilimento di produzione deve necessariamente tenere conto anche della compatibilità urbanistica e ambientale.
L'art. 216 del Testo Unico delle leggi Sanitarie n. 1265 del 1934 prevede che il ministero della Sanità elabori e tenga aggiornato un elenco delle lavorazioni insalubri, che i comuni controllino i nuovi insediamenti e predispongano gli accorgimenti e cautele necessarie per il rispetto della legge.
LE INDUSTRIE INSALUBRI: Le industrie insalubri di prima classe non possono risiedere entro i perimetri delle zone abitate; salvo il caso in cui un insediamento già presente dimostri di adottare cautele particolari, grazie alle quali non reca nocumento alla salute del vicinato.
Le industrie insalubri di seconda classe esigono speciali cautele per l'incolumità del vicinato.
Requisiti autorizzativi preliminari di igiene ambientale e urbana:
1. conformità nei riguardi della concessione edilizia e della abitabilità degli stabili
2. conformità nei riguardi delle emissioni atmosferiche;
3. conformità nei riguardi dell'uso di combustibili soggetti a restrizioni d'uso;
4. conformità nei riguardi dello scarico di acque reflue;
5. conformità nei riguardi della prevenzione incendi;
6. conformità nei riguardi dello smaltimento dei rifiuti speciali, tossici e nocivi.
IGIENE DI STRUTTURE E DI ATTREZZATURE: In ragione del tipo di operazioni svolte e dei rischi ad esse connesse, i locali, gli impianti e le attrezzature devono essere localizzati, progettati e costruiti con la finalità di garantire che:
· le contaminazioni siano minimizzate;
· le caratteristiche costruttive e le condizioni operative permettano di svolgere in modo appropriato le attività di assistenza, pulizia e disinfezione e siano tali da minimizzare le contaminazioni veicolate dall'aria;
· le superfici di lavoro e i materiali, particolarmente se destinate a venire a contatto con il prodotto alimentare, non trasmettano elementi tossici durante il loro impiego e, quando sia necessario, mantengano nel tempo le condizioni di adeguatezza, e siano facili da gestire nelle operazioni di assistenza e pulizia;
· dove necessario, siano disponibili dispositivi per il controllo di temperatura, umidità e altro;
· ci sia un efficace prevenzione nei riguardi degli animali estranei.
1. ISOLAMENTO DELL'UNITÀ PRODUTTIVA
2. FACILITÀ DI PULIZIA DI LOCALI E ATTREZZATURE
3. SEPARAZIONE FISICA (E FUNZIONALE) FRA "REPARTI/FASI SPORCHE" E "REPARTI/FASI PULITE"
Sono reparti/fasi sporche:
a. aree esterne al laboratorio;
b. locali e attività di supporto, non direttamente connesse con la produzione alimentare (officina, impianti per il freddo, impianti trattamento acque, depositi rifiuti, deposito dei materiali e delle attrezzature per la pulizia e la disinfezione, uffici);
c. lavorazioni antecedenti alla realizzazione del prodotto finito (la sequenza delle fasi di un processo di produzione alimentare rappresenta anche una scala di criticità crescente nei riguardi della contaminazione da materiali e semilavorati delle fasi precedenti, fino al confezionamento/imballaggio);
d. preparazione e deposito degli imballaggi per gli alimenti;
e. deposito del prodotto confezionato/imballato;
f. gabinetti e spogliatoi;
g. mensa e riposo.
4. AREE E PERCORSI DI LAVORAZIONE IN GRADO DI FACILITARE L'IGIENE, L'EFFICIENZA E IL CONTROLLO DEL PROCESSO PRODUTTIVO
5. DOTAZIONE IGIENICHE (lavabi, bagni, sterilizzatori per coltelli ecc.)
6. ADEGUATA DISPONIBILITÀ DI ACQUA POTABILE
7. ADEGUATA ILLUMINAZIONE
8. ADEGUATA AREAZIONE
9. PRESENZA DI IDONEI DISPOSITIVI PER IL CONTROLLO DEI PARAMETRI AMBIENTALI
CRITERI GENERALI (rif.: Decreto Legislativo del Governo n° 155 del 26/05/1997 (attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti alimentari
Lo schema, la progettazione, la costruzione e le dimensioni dei locali alimentari devono:
a) consentire un'adeguata pulizia e/o disinfezione;
b) essere tali da impedire l'accumulo di sporcizia e il contatto con materiali tossici, la penetrazione di particelle nei prodotti alimentari e, per quanto fattibile, la formazione di condensa o muffa indesiderabile sulle superfici;
c) consentire una corretta prassi igienica impedendo anche la contaminazione crociata, durante le operazioni, fra prodotti alimentari, apparecchiatura, materiali, acqua, ricambio d'aria o interventi del personale ed escludendo agenti esterni di contaminazione quali insetti e altri animali nocivi;
d) fornire, ove necessario, adeguate condizioni di temperatura per la lavorazione e il deposito igienici dei prodotti.
Devono essere disponibili un sufficiente numero di lavabi, adeguatamente collocati e indicati per lavarsi le mani. Gabinetti disponibili in numero sufficiente devono essere collegati ad un buon sistema di scarico. I gabinetti non devono dare direttamente sui locali di manipolazione degli alimenti.
I lavabi devono disporre d'acqua corrente fredda e calda, materiale per lavarsi le mani e un sistema igienico d'asciugatura. Ove necessario, gli impianti per il lavaggio dei prodotti alimentari devono essere separati dai lavabi.
Si deve assicurare una corretta areazione meccanica o naturale, evitando il flusso meccanico d'aria da una zona contaminata verso una zona pulita. I sistemi d'aerazione devono essere tali da permettere un accesso agevole ai filtri e alle altre parti che devono essere pulite o sostituiti.
Tutti gli impianti sanitari nei locali dove si lavorano gli alimenti devono disporre di un buon sistema di aerazione, naturale o meccanico.
Nei locali devono esserci un'adeguata illuminazione, naturale e/o artificiale.
Gli impianti di scarico devono essere adatti allo scopo, nonché progettati e costruiti in modo da evitare il rischio di contaminazione dei prodotti alimentari.
Ove necessario, devono essere previste installazioni adeguate adibite a spogliatoio per il personale.
Nei locali dove i prodotti alimentari sono preparati, lavorati o trasformati (esclusi i locali adibiti a mensa):
a) i pavimenti devono essere mantenuti in buone condizioni, essere facili da pulire e ove necessario da disinfettare. Ciò richiede l'impiego di materiale resistente, non assorbente, lavabile e non tossico, a meno che gli operatori alimentari non dimostrino all'autorità competente che altri tipi di materiali possano essere impiegati appropriatamente. Ove opportuno la superficie dei pavimenti deve assicurare un sufficiente scorrimento;
b) le pareti dei muri devono essere mantenute in buone condizioni ed essere facili da pulire e ove necessario da disinfettare. Ciò richiede l'impiego di materiale resistente, non assorbente, lavabile e non tossico e una superficie liscia fino ad un'altezza opportuna per le operazioni, a meno che gli operatori alimentari non dimostrino all'autorità competente che altri tipi di materiali possono essere impiegati appropriatamente;
c) i soffitti e le attrezzature sopraelevate devono essere progettati, costruiti e rifiniti in modo da evitare l'accumulo di sporcizia e ridurre la condensa, la formazione di muffe indesiderabili e lo spargimento di particelle;
d) le finestre e le altre aperture devono essere costruite in modo da impedire l'accumulo di sporcizia e quelle che possono essere aperte verso l'esterno devono essere se necessario munite di reti antinsetti facilmente amovibili per la pulizia. Qualora l'apertura di finestre provochi contaminazioni di alimenti, queste devono restare chiuse e bloccate durante la produzione;
e) le porte devono avere superfici facilmente pulibili e se necessario disinfettabili e a tale fine si richiedono superfici lisce e non assorbenti, a meno che gli operatori alimentari non dimostrino all'autorità competente che altri tipi di materiali utilizzati sono adatti allo scopo;
f) i piani di lavoro (comprese le superfici degli impianti) a contatto con gli alimenti devono essere mantenuti in buone condizioni ed essere facili da pulire e se necessario da disinfettare. A tal fine si richiedono materiali lisci, lavabili e in materiale non tossico, a meno che gli operatori alimentari non dimostrino all'autorità competente che altri tipi di materiali utilizzati sono adatti allo scopo.
Se necessario, si devono prevedere opportune disposizioni per la pulizia e la disinfezione degli strumenti di lavoro e degli impianti, i quali devono essere in materiale resistente alla corrosione, facili da pulire e avere un'adeguata erogazione di acqua calda e fredda.
Ove opportuno, si devono prevedere adeguate disposizioni per le necessarie operazioni di lavaggio degli alimenti. Ogni acquaio o impianto analogo previsto per il lavaggio degli alimenti deve disporre di un'adeguata erogazione di acqua potabile calda e/o fredda onde poter essere mantenuti puliti.
IGIENE DEGLI OPERATORI: Coloro che sono coinvolti nelle lavorazioni, al punto da entrare in contatto con le sostanze alimentari devono garantire un basso rischio di contaminazione attraverso:
· l'osservanza di un elevato standard di pulizia personale;
· atteggiamenti e comportamenti appropriati.
1. Stato di salute
Le persone malate, quelle per le quali si sospetta un'affezione, o che possono comunque veicolare agenti di malattia trasmissibili attraverso l'alimento, devono essere tenuti lontano da qualsiasi area di lavorazione, in cui sia possibile una contaminazione, per via diretta o indiretta. Ogni operatore deve avvertire la direzione aziendale di eventuali disturbi o sintomi di malattia.
Un controllo medico del personale deve essere condotto allorché evidenze cliniche o epidemiologiche lo suggeriscano.
2. Disturbi o lesioni
Le condizioni di salute che devono indurre gli operatori ad informare la direzione aziendale per i necessari provvedimenti, quali la visita medica o l'esclusione dal lavoro, riguardano:
itterizia; diarrea; vomito; mal di gola con febbre; lesioni cutanee infette esposte (foruncoli, ferite, ecc); emissione di materiale infetto da orecchi, occhi o naso.
3. Pulizia personale
Gli addetti alle lavorazioni devono osservare un alto standard di pulizia e, dove sia necessario, indossare un abito protettivo, cuffia e calzari.
Eventuali ferite e piaghe, quando non compromettono la possibilità di lavorare, devono essere protette con idonee bende impermeabili.
Gli operatori devono lavare le proprie mani ogni volta la pulizia personale può pregiudicare la sicurezza del prodotto alimentare, come per esempio:
· all'inizio delle lavorazioni;
· immediatamente dopo aver utilizzato i bagni;
· dopo aver manipolato materie prime o qualsiasi altro materiale contaminato, se tale operazione può provocare la contaminazione di prodotti alimentari finiti; in questi casi, gli operatori non devono manipolare prodotti alimentari pronti per il consumo.
4. Comportamento
Il personale coinvolto nelle lavorazioni alimentari deve evitare comportamenti che espongono al rischio di contaminazione il prodotto alimentare, quali:
fumare, sputare, masticare o mangiare, starnutire o tossire sui prodotti alimentari non protetti.
Gli effetti personali, come gioielli, orologi, spilli o cose simili non devono essere indossati o comunque portati nelle aree di lavorazione, se possono costituire un pericolo per la sicurezza e l'idoneità alimentare.
5. Formazione
Gli operatori alimentari devono assicurare che gli addetti siano controllati e abbiano ricevuto un addestramento e/o una formazione, in materia di igiene alimentare, in relazione al tipo di attività.
6. Visitatori
I visitatori dello stabilimento devono indossare abiti protettivi e sottostare agli altri requisiti previsti per il personale interno.
Le buone pratiche di lavorazione ed i manuali d'igiene
MANUALE AZIENDALE D'IGIENE (Buone Pratiche di Lavorazione)
· Procedure di sanificazione
· Procedura di controllo degli animali estranei (roditori, insetti, ecc.)
· Procedura di controllo dell'approvvigionamento idrico
· Procedura di controllo della qualità dell'aria
· Procedura di acquisto ed uso dei materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti
· Procedura di verifica della conformità igienico-sanitaria degli addetti
· Programma di formazione per il personale
· Eventuali procedure di acquisto delle materie prime
· Procedura di identificazione del lotto di produzione
· Gestione rifiuti
· Gestione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie
· Procedure operative per ogni fase di produzione
Metodologie dell'Autocontrollo
1. verifica delle condizioni igieniche;
2. applicazione delle buone pratiche di lavorazione;
3. applicazione di modelli improntati a "sistemi qualità";
4. applicazione del modello "Hazard Analysis and Critical Control Point";
Modelli sistematici applicati alla prevenzione
I principi dell'Hazard Analysis Critical Control Point
Premessa terminologica:
Controllare (to control) : agire in modo da assicurare il mantenimento della conformità ai criteri del piano HACCP.
Controllo (control): la condizione in cui le procedure vengono eseguite correttamente entro i criteri stabiliti.
Azione di controllo (control measure): ogni intervento o insieme di azioni che sono applicate per evitare, eliminare o ridurre ad un livello accettabile un pericolo.
HACCP: un sistema finalizzato all'identificazione, valutazione e controllo dei pericoli significativi per la sicurezza di un alimento.
Piano HACCP (HACCP plan): un documento preparato sviluppando i principi dell'HACCP, con il fine di ottenere il controllo dei pericoli significativi per la sicurezza dell'alimento in uno specifico segmento produttivo.
Pericolo (hazard): ogni agente o condizione presente nell'alimento, di natura fisica, chimica o biologica, in grado di provocare danno alla salute del consumatore.
Analisi del pericolo (hazard analysis): processo di raccolta e valutazione delle informazioni relative ai pericoli e alle variabili che condizionano la loro presenza nell'alimento, finalizzato a decidere quali, essendo significativi per la sicurezza dell'alimento, dovrebbero essere inseriti nel piano HACCP.
Punto Critico per il Controllo (critical control point o CCP): una fase in cui può essere inserito una procedura di controllo essenziale al fine di evitare, eliminare p ridurre ad un livello accettabile un pericolo per la salute del consumatore.
Fase (step): un punto, una procedura, una operazione o un momento della catena produttiva, a partire dalla produzione primaria delle materie prime fino al consumo.
Diagramma di flusso (flow diagram): rappresentazione sistematica della sequenza di fasi coinvolte nella produzione di un particolare prodotto alimentare.
Monitoraggio (monitoring): condurre una sequenza programmata di osservazioni o misure avente per oggetto i parametri del controllo, con il fine di accertare se un CCP è sotto controllo.
Limite critico (critical limit): un criterio che discrimina l'accettabilità dalla inaccettabilità.
Deviazione (deviation): superamento del limite critico.
Azione correttiva (corrective action): ogni azione da intraprendere quando il monitoraggio indica che il CCP è fuori controllo.
Validazione (validation): ottenere l'evidenza che gli elementi del piano HACCP sono operativi.
Verifica (verification): applicazione di metodi, procedure, tests e altri accertamenti che, indipendentemente dalle attività di monitoraggio, consentono di valutare la conformità dell'intero piano HACCP.
I 7 PRICIPI
Principio 1. Identificare i pericoli potenziali in grado di pregiudicare la sicurezza dell'alimento.
Principio 2. Identificare le fasi al livello delle quali è possibile evitare, eliminare o condurre a livelli accettabili i pericoli (CCP).
Principio 3. Stabilire i limiti (critici) entro cui il CCP può essere considerato "sotto controllo" (discriminazione accettabilità/inaccettabilità).
Principio 4. Stabilire un sistema programmato di misure, tests o osservazioni (monitoraggio) che assicuri il possesso del potere preventivo del CCP.
Principio 5. Stabilire le azioni correttive da prendere quando il sistema di monitoraggio segnali che il potere preventivo di un CCP non è più "sotto controllo".
Principio 6. Stabilire le procedure di verifica dell'efficacia del sistema HACCP applicato.
Principio 7. Stabilire la documentazione concernente tutte le procedure e le registrazioni conformi a questi principi e necessarie alla loro applicazione.
SEQUENZA LOGICA PER L'APPLICAZIONE DEL SISTEMA HACCP
Fasi:
1. Composizione del gruppo di lavoro.
2. Descrizione del prodotto
3. Identificazione della utilizzazione attesa del prodotto.
4. Costruzione di un diagramma di flusso che descriva il processo.
5. Verifica nella realtà produttiva (sul posto) del diagramma di flusso.
6. Elenco dei pericoli potenziali associati a ciascuna fase, caratterizzazione di ciascun pericolo, identificazione delle misure preventive.
7. Identificazione dei punti critici di controllo (CCP) (attraverso l'applicazione dell'albero delle decisioni).
8. Stabilire i limiti critici per ciascun CCP.
9. Stabilire il sistema di monitoraggio per ciascun CCP.
10. Stabilire le azioni correttive.
11. Stabilire le procedure di verifica
12. Stabilire la documentazione e il sistema di registrazione.
6. Elenco dei pericoli potenziali associati a ciascuna fase, caratterizzazione di ciascun pericolo, identificazione delle misure preventive.
Il gruppo di lavoro indica i pericoli potenziali che possono ragionevolmente presentarsi in ciascuna fase del processo di produzione (dalla produzione primaria al consumo).
I pericoli vengono sottoposti a valutazione con il fine di identificare quali potrebbero realmente pregiudicare la sicurezza dell'alimento se non fossero applicati strumenti in grado di evitarli, eliminarli o ridurli a livelli accettabili.
La valutazione dei pericoli potenziali dovrebbe prevedere l'accertamento dei seguenti fattori:
1. la probabilità che un pericolo si presenti e la gravità dei danni sanitari da esso provocati;
2. La valutazione qualitativa e/o quantitativa della presenza del pericolo;
3. Sopravvivenza o moltiplicazione dei microrganismo oggetto di preoccupazione;
4. Produzione o persistenza negli alimenti di tossine, agenti fisici e chimici;
5. Condizioni che concorrono al punto 4
PROCEDURA DI IDENTIFICAZIONE DEI PERICOLI
strumenti di ricerca: dati epidemiologici; dati ed informazioni raccolti da strumenti di sorveglianza;
studi di somministrazioni sperimentali eseguiti su animali o persone; report di casi documentati.
ANALISI DEL RISCHIO ALIMENTARE:
ISTANZE:
· Miglioramento dei livelli di prevenzione sanitaria in campo alimentare.
· Normalizzazione dei commerci internazionali.
· Realizzazione di uno strumento gestionale i cui contenuti siano trasparenti e condivisibili da tutte le parti interessate.
FINALITÀ
· Miglioramento della prevenzione in tutte le fasi: fase di programmazione, fase esecutiva, fase di verifica dei risultati
APPLICAZIONI ATTUALI
Conduzione dell'Hazard Analysis and Critical Control Point:
· Analisi dei pericoli alimentari associati al tipo di processo;
Es.: identificare i pericoli significativi per il tipo di prodotto alimentare, per il tipo d'uso previsto, per il tipo di consumatore; definire un rischio accettabile o non tollerabile; accettare di attribuire la responsabilità di interventi di prevenzione all'esterno dell'area produttiva presa in considerazione.
· determinazione dei punti critici di controllo;
· determinazione dei limiti critici
I pericoli, siano essi di natura chimica, biologica o fisica, sono considerati una componente naturale della vita di tutti i giorni. In ambito alimentare, nel corso degli anni, alcuni pericoli hanno ridotto la loro frequenza, altri l'hanno aumentata; così come accanto ad alcuni che sono scomparsi, altri nuovi sono emersi. Tutto ciò per effetto dei cambiamenti evolutivi intervenuti sia negli usi e nei costumi della popolazione, sia nello stato dell'ambiente, sia ancora nelle tecnologie applicate alla produzione e distribuzione dei prodotti alimentari (Lammerding A.M., Paoli M.G. 1997).
Da qui la necessità di sviluppare adeguate procedure di controllo per ridurre al minimo il rischio sanitario connesso al consumo di alimenti. Questo proponimento ha assunto oggi caratteri imperativi per le moderne organizzazioni sociali, con conseguenti investimenti di ingenti somme di denaro e di alte potenzialità tecniche ed umane (Kindred T.P 1995).
L'esigenza di poter garantire un altissimo livello d'efficacia nelle politiche della prevenzione ha indirizzato verso l'adozione e l'applicazione di approcci rigorosamente scientifici alle problematiche affrontate. E' così che sono state proposte metodologie specifiche per l'analisi e caratterizzazione dei rischi finalizzate alla scelta e alla verifica delle misure preventive più appropriate. Fra queste il Risk Analysis rappresenta lo strumento più evoluto e completo (Lammerding A.M., Paoli M.G. 1997). Singoli Autori e gruppi di lavoro, hanno tentato di realizzare metodi di valutazione e gestione del rischio alimentare. In molti casi questi tentativi si sono configurati come veri e propri sistemi, le cui procedure realizzavano il controllo più o meno efficace dei pericoli. Ma, indipendentemente dal loro grado di efficienza operativa, gli approcci inizialmente proposti non presentano una completa formalizzazione. Con il termine di risk analysis si è voluto contraddistinguere gli approcci completamente formalizzati. Nelle versioni conosciute infatti, il risk analysis si caratterizza per essere una procedura con fasi ben determinate, in cui la raccolta delle informazioni e l'integrazione dei dati deve avvenire in modo ponderato per la valutazione e gestione del pericolo finalizzate alla tutela della salute del consumatore (Kindred T.P 1995). Diverse autorità scientifiche si sono cimentate nella realizzazione dei modelli e delle procedure del risk analysis. Tra queste ricordiamo l'Health Protection Branch (HPB) canadese, il Food Safety and Inspection Service (FSIS) del U.S Department of Agricolture (USDA) statunitense, il Codex Alimentarius ed altri. Queste referenze scientifiche hanno definito negli anni '80 la struttura formale del risk analysis, basata allo stesso tempo su informazioni e metodologie provenienti da diverse discipline del sapere, ivi inclusi conoscenze scientifiche, dati ed elaborazioni epidemiologiche, dati e metodologie statistiche, gestionali, economiche e sociologiche. Nel complesso, il modello del risk analysis include applicazioni di natura scientifica, gestionale, e tecniche di comunicazione.
Accanto alle prioritarie esigenze imposte dalla tutela della salute del consumatore, un'importante fattore catalizzatore dello sviluppo del risk analysis è sicuramente stato la normalizzazione dei commerci fra stati. In particolare, l'intensificazione dei commerci sia in Europa che nel nord America, ha imposto l'adozione di riferimenti oggettivi per la valutazione dei livelli di sicurezza offerti dai processi di produzione, in modo da permettere gli scambi commerciali di tali prodotti. (Todd E.C.D, Harwig J. 1996). La valenza commerciale assunta dall'analisi del rischio è ben espressa dalle norme commerciali che attualmente regolano i commerci in alcuni ambiti mondiali (World Trade Organization): le limitazioni al principio di libertà nelle esportazioni possono essere accettate dalle parti solo se l'applicazione dell'analisi del rischio sanitario provi che sono sorte preoccupazioni fondate su una determinata produzione alimentare. Al contempo, è proprio l'importanza assunta che lo rende particolarmente esposto ai tentativi di manipolazione forzata.
Per quanto la procedura del risk analysis sia stata sviluppata in questi ultimi anni, alcuni Autori ritengono che si trovi ancora ad uno stadio preliminare. Ne è prova il fatto che possiamo ancora trovare modelli con alcune differenze sostanziali di impostazione.
Il Codex Alimentarius ha sviluppato un modello di risk analysis consistente in:
· Risk Assessment, composto da: a) identificazione del pericolo; b) caratterizzazione del pericolo; c) caratterizzazione dell'esposizione; d) caratterizzazione del rischio;
· Risk Management;
· Risk Comunication;
· Monitoring.
Attualmente la commissione del Codex Alimentarius non ha ancora stabilito in modo definitivo e formale le finalità operative del risk analysis, ma indica due possibili applicazioni. La prima di queste riguarda l'HACCP, mentre la secondo concerne l'individuazione dei "criteri microbiologici" nella valutazione della sicurezza alimentare. Nei riguardi del sistema HACCP, l'analisi del rischio può contribuire ad identificare i pericoli potenziali, a localizzare i CCP e a stabilire i livelli di tolleranza per i vari CCP. Nel caso dei criteri microbiologici, le informazioni offerte dall'analisi del rischio sono fondamentali nel definire i termini quantitativi, in modo da porre le basi di giudizio nella valutazione dei pericoli e nel predisporre un efficiente sistema di monitoraggio del processo produttivo (Todd E.C.D, Harwig J. 1996). Quest'ultima problematica è particolarmente sentita, proprio perché nel campo microbiologico i pericoli si caratterizzano per l'essere mutevoli nel tempo: i patogeni potrebbero aumentare o diminuire durante il processo, od addirittura entrare in competizione fra di loro.
Il risk analysis si presenta quindi come uno strumento di grande valore perché da i riferimenti logici per condurre un processo del tutto oggettivo e trasparente di valutazione dei rischi, consentendo l'ottimizzazione delle informazioni reperibili in letteratura, la giusta ponderazione delle incertezze e l'adozione di procedure decisionali basate su dati ed assunti ben definiti e comunicati.
Il risk assessment è definito come la componente del risk analysis che sviluppa la misurazione del rischio e l'identificazione dei fattori che lo influenzano. Nelle aspettative di coloro che formalizzarono e proposero questo strumento procedurale, vi era sicuramente l'obbiettivo di identificare quella area della valutazione del rischio, che fosse sviluppata esclusivamente con metodologia e dati scientifici. Tanto è vero che nelle definizioni che vennero date è dichiarata la valenza scientifica delle stime prodotte dal risk assessment, evidenziandola anche con la contrapposizione dei propositi degli altri due momenti dell'analisi del rischio, risk management e risk comunication (Powell D. 1998).
In ambito alimentare, il risk assessment è lo strumento preposto alla determinazione quantitativa della probabilità che un determinato pericolo (hazard) provochi malattia nel consumatore. Nel concetto di rischio a cui il modello fa riferimento è compresa sia la probabilità dell'evento indesiderabile, sia la gravità dei danni da questo arrecabili (Lammerding A.M., Paoli G.M. 1997).
Il percorso cognitivo previsto dal modello si basa sull'utilizzo di una gran massa di dati, provenienti da volumi di studi epidemiologici relativi sia alla popolazione animale che a quella umana, di informazioni scientifiche provenienti da studi analitici di microbiologia e tossicologia, ed infine sull'elaborazione di dati che identifichino il grado di esposizione. Il risultato atteso è la previsione della probabilità che l'evento negativo si verifichi in una specifica fascia di popolazione.
Nel campo dei pericoli biologici, la difficoltà a quantificare l'efficacia dei provvedimenti di prevenzione, sia in fase di programmazione che in fase di verifica, rende particolarmente problematiche la scelta dell'intervento, la determinazione delle risorse necessarie e la stessa certezza dei risultati. In effetti, la complessità e la dinamica evolutiva dei fattori coinvolti nella diffusione e nella patogenesi delle tossinfezioni alimentari hanno imposto alle autorità sanitarie di cambiare l'approccio analitico al problema (Lammerding A.M., Paoli G.M. 1997).
Da una metodologia basata su valutazioni circoscritte e settoriali si è passati ad un'analisi integrata e sistemica su tutti gli aspetti connessi con la problematica. Così, mentre il metodo tradizionale conduceva a valutazioni dell'impatto sanitario, sulla base della documentazione sui livelli di contaminazione dei patogeni, spesso anche copiosa, ma relativa solo ad alcune fasi di vita dell'alimento, i nuovi approcci si propongono di analizzare il rischio, estrapolandolo dalle informazioni relative a tutte le variabili in gioco: agente patogeno, processo produttivo, alimento, modalità di distribuzione, modalità di consumo e sensibilità dell'ospite (ICMSF 1998).
Il modello procedurale di valutazione quantitativa del rischio comporta la definizione di una metodologia matematico-statistica che metta in relazione la probabilità di esposizione ad un agente patogeno, con l'effetto che tale esposizione avrà sull'ospite. La ponderazione delle due variabili con la gravità della patologia arrecata conduce alla definizione della caratterizzazione del rischio.
Su di un piano schematico possiamo suddividere le procedure del risk assessment in fasi sequenziali. Le autorità scientifiche stesse hanno suddiviso il modello in almeno 4 fasi principali, definiti anche il "paradigma del risk assessment".
1. Identificazione del pericolo (hazard identification): consiste nell'accertamento per ogni agente chimico, fisico o biologico del possibile legame causale con una patologia.
2. Valutazione del grado di esposizione (exposure assessment): calcola la dimensione dell'esposizione al pericolo.
3. Valutazione della relazione fra dose e risposta (dose-response assessment): determina la relazione fra l'unità di esposizione al pericolo e l'unità di risposta.
4. Caratterizzazione del rischio (risk characterization): descrive la natura e la grandezza del rischio, includendo anche le incertezze delle analisi (Powell D. 1998).
La procedura prevede di integrare le informazioni delle fasi precedenti per determinare le fasi successive. In tal modo, il risk characterization rappresenta la sintesi ultima di tutto il processo cognitivo (ICMSF 1998; (Paustenbach D.J. 1996).
Il risk assessment su base quantitativa è diventato lo strumento ritenuto più efficace ed oggettivo nel definire scale di confronto dei rischi, finalizzate alla scelta e alla valutazione dei provvedimenti di prevenzione. (Lammerding A.M., Paoli G.M. 1997). Tuttavia, negli anni, e soprattutto con l'esperienza applicativa, si è giunti alla consapevolezza che i desideri di coloro che hanno formalizzato la procedura non possano essere completamente esauditi. In particolare, molti esperti valutatori hanno giudicato il paradigma del risk assessment non sviluppabile nella realtà, se si deve rispettare rigorosamente l'esclusione di aspetti non scientifici. Lo stato dell'arte della valutazione del rischio, infatti, non permette di separare in modo chiaro le istanze scientifiche da quelle politiche in senso lato. Nella pratica, assunzioni con implicazioni politiche entrano in gioco in ogni momento della valutazione, al punto che l'idea di un risk assessment libero, dalla politica è semplicemente fuori dalla realtà (Powell D. 1998).
Anche quando vengono applicati criteri improntati alla cautela nei riguardi di dati o aspetti poco chiari della problematica, la valutazione del rischio non è corretta sul piano scientifico, dal momento che parte da una giudizio di valore basato sugli effetti negativi conseguibili dalle incertezze dell'analisi (Powell D. 1998).
Identificazione del pericolo. L'identificazione di un pericolo è una procedura conosciuta nel settore alimentare, soprattutto perché equivale all'analisi del pericolo (hazard analysis) effettuata in un programma HACCP. La classificazione di un agente fisico, chimico o biologico nell'ambito dei pericoli alimentari è subordinata alla dimostrazione della connessione fra presenza nell'alimento e malattia nel consumatore. Le fonti di informazione sono rappresentate da:
1. dati epidemiologici;
2. dati ed informazioni raccolti da strumenti di sorveglianza;
3. studi di somministrazioni sperimentali eseguiti su animali o persone;
4. report di casi documentati.
Sul piano generale, la valutazione qualitativa della pericolosità si basa sulla verifica delle seguenti ipotesi:
- l'evidenza degli effetti patogeni e tossicologici sull'uomo;
- dimostrazione del nesso di causalità;
- verifica della validità dei dati sperimentali;
- accertamento del meccanismo di azione patogena o tossica;
- verifica della qualità e della completezza dei dati di base;
- l'identificazione della fascia di popolazione che presenta alta sensibilità al pericolo (FSIS 1998).
E' necessario che già nella fase di identificazione dei pericoli si possa effettuare una classificazione degli stessi in ragione della frequenza e del grado di resistenza degli agenti, in modo che possano essere poste delle gerarchie di priorità nello sviluppare il risk analysis, privilegiando così quei pericoli di maggiore preoccupazione per la salute pubblica.
Una tale considerazione assume toni addirittura drammatici nel caso dei pericoli chimici. Su un totale di circa 5.000 sostanze aventi un ruolo nell'industria, oltre 400 sono già state classificate come cancerogene.
Stima dell'esposizione al pericolo. Il secondo passo nel risk assessment è stimare la probabilità che i pericoli identificati, vengano a contatto con il consumatore. Le informazioni necessarie derivano dai dati sul grado di contaminazione degli alimenti e dagli studi sulla cinetica che caratterizza il comportamento nell'alimento di ciascun agente. Anche in questa fase, infatti, devono essere raccolte informazioni applicando procedure logiche sia di natura deduttiva che induttiva. Al primo caso appartengono i dati provenienti da monitoraggi effettuati sugli alimenti in fase di commercializzazione, in prossimità del loro consumo. Al secondo invece appartengono i dati di contaminazione stimati sulla base di modelli cinetici che spiegano le variazioni quantitative subite dall'agente presente sull'alimento durante i processi di produzione e di distribuzione, sotto l'influenza delle variabili ambientali.
Un momento preliminare estremamente importante è rappresentato dalla valutazione della qualità dei dati. Il grado di contaminazione, comprensivo di frequenza e livello quantitativo, deve essere analizzato anche sulla base della tipologia di prodotto alimentare, della fase di produzione, del momento della vita commerciale, delle modalità di prelievo del campione, del numero di campioni analizzati e delle modalità analitiche adottate. La massa di dati presenti in letteratura, talvolta davvero copiosa, deve quindi essere vagliata e aggregata per classi omogenee. In mancanza di questa selezione preliminare, dovrà essere applicato il principio di cautela, dando un peso importante ai dati più preoccupanti. Tutto ciò almeno fino a quando la procedura di valutazione del rischio conduce a conclusioni da cui possono conseguire una ampio range di opzioni in fase di adozione dei provvedimenti di prevenzione. Al contrario, quando la prevenzione praticabile dovesse presentarsi come estremamente onerosa e limitativa delle libertà di ciascuna parte interessata, allora l'adozione di tecniche di analisi in grado di ridurre i possibili errori di sovrastima del rischio potrebbe divenire essenziale.
Un accurato "exposure assessment" necessita di tre differenti tipi di informazioni:
· il grado di presenza del pericolo nella materia prima e negli ingredienti;
· gli effetti indotti sul pericolo dall'applicazione delle tecnologie di produzione e conservazione;
· gli effetti provocati sul pericolo dalle modalità di preparazione e consumo dell'alimento.
· le quantità di alimento consumate.
Nel definire l'esposizione al pericolo dobbiamo assumere alcune condizioni di base, quali tipo e quantità di alimento ingerito, modalità di preparazione e consumo ecc., che in genere sono riferibili alla gran parte della popolazione. Tuttavia, non di rado, i comportamenti alimentari di specifiche categorie di persone o gruppi etnici necessitano di essere attentamente considerati. In tali casi, gli stessi motivi di cautela hanno suggerito agli scienziati di assumere queste condizioni limite come basi per la valutazione del rischio anche per il resto della popolazione. Anche per questo aspetto, valgono le considerazioni fatte sopra nei riguardi dei limiti di un'eventuale sovrastima del rischio.
Risulta comunque importante segnalare nel corso della procedura il livello qualitativo delle informazioni e i riferimenti assunti, in modo da poter pesare i risultati finali.
Stima del rapporto fra dose e risposta. La fase "dose-response assessment" si propone di traslare i dati sull'esposizione al pericolo sul campo degli effetti sanitari sul consumatore. In altre parole, viene applicata una procedura finalizzata al calcolo del rapporto fra dose ingerita ed effetti patologici sulla popolazione. Le informazioni reperibili possono essere attinte da 4 fonti:
a) indagini epidemiologiche, con particolare riferimento a quelle che indicano la quantità di pericolo assunto da coloro che sono stati colpiti dalla malattia;
b) reports di casi documentati;
c) prove effettuate su volontari;
d) prove effettuate su animali.
In generale, la descrizione del rapporto esistente fra dose di agente assunta e risposta dell'organismo umano, comporta il fare luce sulle due componenti che lo caratterizzano:
1) potere patogeno o tossicologico dell'agente;
2) sensibilità dell'ospite.
Come è facile intuire dalle premesse, calcolare la curva che lega la dose agli effetti, in modo da essere sufficientemente comprensivi da includere tutte le variabili in gioco, e al tempo stesso abbastanza sintetici da offrire parametri applicabili su larga scala, è estremamente complesso. Sono in gioco infatti una miriade di fattori, legati sia all'agente che all'ospite, in grado tutti di condizionare la risposta individuale ad un patogeno o ad una sostanza tossica, e per giunta caratterizzati anche da dinamiche evolutive. Ciò non bastasse, le informazioni disponibili sono poche e talvolta controverse. Proprio per questo motivo, si preferisce condurre l'analisi sulla base di più approcci praticabili con le informazioni a disposizione, per poi sottoporre i dati a confronto e valutare complessivamente i risultati (Lammerding A.M., Paoli G.M. 1997).
Caratterizzazione del rischio. Il risk characterization è la fase in cui tutte le informazioni raccolte nelle precedenti fasi vengono integrate, fino ad elaborare una stima del rischio a cui sono soggetti i consumatori in generale, o una categoria definita di questi (ICMSF 1998). La procedura applicata deve completare la valutazione del livello di esposizione e del rapporto fra dose e risposta, dando una visione generale sull'incidenza della malattia a cui può essere soggetto il consumatore.
Le valenze possedute da questa fase ne fa una delle parti più complesse e controverse del processo del risk assessment. In effetti, la procedura richiede ai valutatori di sintetizzare i dati e le conoscenze provenienti non soltanto dall'ambito delle scienze fisiche, chimiche e biologiche, ma anche da altre discipline e settori della vita pubblica e privata, con il fine di descrivere in maniera specifica i pericoli sanitari (Paustenbach D.J. 1996).
In questa fase emergono anche tutte le incertezze e le difficoltà incontrate nei momenti precedenti. Proprio per questo motivo il modello prevede che sia inclusa una descrizione dei dati statistici e biologici che risultano essere incerti (ICMSF 1998).
Le difficoltà pratiche della caratterizzazione del rischio vengono oggi affrontate mediante l'ausilio di strumenti matematico-statistici estremamente complessi, quali l'analisi Monte Carlo, in cui la compilazione delle variabili e dei coefficienti porta ad un rapido calcolo probabilistico del rischio presente in specifiche situazioni. In termini semplici, i programmi disponibili ci consentono sviluppare in modo integrato le domande "cosa succede se …?", prefigurando ipotetiche situazioni o descrivendo reali condizioni, dando risposte in termini di probabilità che gli eventi negativi (malattie alimentari) si verifichino (Lammerding A.M., Paoli G.M. 1997; Paustenbach D.J. 1996; ICMSF 1998).
RISK MANAGEMENT FINALITÀ:
Selezione delle scelte possibili per la prevenzione del pericolo
Scelta degli interventi più appropriati
Applicazione delle misure di prevenzione stabilite
Verifica dei risultati
Aggiornamento del sistema di prevenzione
RISK COMUNICATION FINALITA':
a) chi deve effettuare la comunicazione;
b) quali sono i requisiti per assumere questa titolarità;
c) come effettuare una comunicazione completa e come verificare questa qualità;
d) come valutare il livello di chiarezza dell'informazione;
e) come rendere l'informazione comprensibile senza pregiudicare la completezza;
f) come realizzare l'informazione in modo da coinvolgere tutte le parti sociali, in un clima di condivisione democratica.
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